Si è conclusa lo scorso 27 novembre la CLIC Start up Competition, finanziata nell’ambito del progetto Horizon 2020 “CLIC – Circular models Leveraging Investments in Cultural Heritage Adaptive Reuse” di cui il Cnr Iriss è coordinatore.
L’obiettivo principale della competizione è stato supportare e premiare le migliori business ideas e startup attive nel campo del riuso funzionale e valorizzazione del patrimonio culturale, potenziando la creatività e l’innovazione per affrontare le nuove sfide della società nei seguenti tre settori e in un’ottica di economia circolare:
- Circular tourism
- Circular and creative cities and regions
- Circular creative industries and social innovation
La competition internazionale è stata l’occasione per startup costituite, informal teams e innovatori per interagire con gli esperti, al fine di accelerare il processo progettuale, e promuovere le idee di business presso investitori pubblici e privati.
La Call è stata aperta il primo settembre 2020 e per oltre sessanta giorni, con il supporto dei partner strategici e della Clic community, la call è stata promossa a livello nazionale ed internazionale.
Grazie alla capillare attività di diffusione sono state raccolte più di 70 application provenienti dall’Europa, dall’Asia, dall’Africa e dall’America.
La giuria internazionale della CLIC Start up Competition ha selezionato le 25 idee che ha trovato più coerenti con l’idea di economia circolare e di valorizzazione del Patrimonio Culturale, e, successivamente, attraverso il voto online aperto a tutti, sono state individuate le 15 finaliste: 5 per ogni area area tematica.
L’evento finale della competition si è svolto virtualmente il 25 e il 27 novembre.
Dal 25 pomeriggio al 26 sera, i finalisti sono stati coinvolti in un percorso di training durante il quale sono stati accompagnati nella revisione del proprio pitch dalla società 012 Factory.
Il 27 mattina, le 9 migliori startup hanno presentato con grande professionalità e disinvoltura il loro pitch finale alla giuria e agli investitori.
La partecipazione del pubblico è stata ampia e continuativa durante tutta la durata dell’evento con più di 220 registrati e una presenza costante durante gli eventi di almeno 100 partecipanti online e oltre 1000 visualizzazioni dello streaming sui canali social del progetto.
Una serie di inspiring keynote speeches da parte di rappresentanti di organizzazioni internazionali quali la Commissione Europea, l’Unione per il Mediterraneo, l’European Investment Fund, l’Agency for the Territorial Cohesion, FacilityLive, la Trans Europe Halles, Pakhuis de Zwijger, e iniziative per l’attivazione del participatory design come Wetopia, e Living Lab Moving Marseille.
A catturare l’attenzione del pubblico ha sicuramente contribuito anche l’intervento dell’“Artivista” Brasiliano MUNDANO (https://www.ted.com/speakers/mundano), il quale ha raccontato la sua esperienza di attivista attraverso l’arte: grazie ai suoi graffiti noti in tutto il mondo, Mundano ha messo in discussione concetti e comportamenti di cittadini e autorità, sensibilizzando la società soprattutto sui temi della conservazione dell’ambiente e dei diritti umani universali. Mundano ha raccontato il suo progetto Pimp my carroça con il quale ha portato all’attenzione le condizioni di vita e lavoro dei catadores brasiliani, spesso relegati ai margini della società, restituendo loro visibilità e dignità.
I premi messi a disposizione, dal valore di 15.000 € ognuno, sono consistiti nell’accesso per 6 vincitori a un programma di mentoring e accelerazione fornito da Iniziativa Cube, partner di CLIC, per migliorare il livello di prontezza delle business ideas, attraverso il supporto nell’elaborazione di un business plan e nello scouting degli investitori per fundraising. I partecipanti si sono iscritti attraverso la piattaforma SEMED “Startup Europe Mediterranean” – un’iniziativa sviluppata dal partner FacilityLive e promossa dalla Commissione Europea – con la quale i 6 vincitori dispongono, inoltre, di un Profilo Premium gratuito per 12 mesi.
Altra interessante opportunità messa a disposizione da SEMED per i finalisti è l’inclusione dei loro progetti nella vetrina CLIC: una straordinaria possibilità di entrare in contatto con gli attori dell’ecosistema innovativo del Mediterraneo e creare proficue sinergie.
Grazie al successo ottenuto già durante la dissemination dell’evento, sono stati offerti ulteriori premi speciali da alcuni partner strategici della competition. In particolare, il CNR IRISS ha istituito un premio speciale per l’attivazione di servizi di comunicazione strategica e di marketing. ICHEC-Brussels Management School ha messo in palio un programma di coaching di 20 ore nell’ambito del nuovo programma di formazione professionale in cultural entrepreneurship – C-SHIP, che mira alla realizzazione della sostenibilità finanziaria e a colmare il divario di upskilling nella gestione aziendale sostenibile e nella resilienza. Il CNR-EEN/ELSE ha premiato i finalisti selezionati con l’accesso al servizio di Enhancing Innovation Management Capacity (EIMC), un supporto personalizzato alle PMI per la valutazione della capacità di gestione dell’innovazione, attraverso una serie di strumenti di valutazione digitale conformi alla norma UNI CEN/TS 16555-1. ENEA-EEN / BridgEconomies ha messo in palio un percorso di supporto per la crescita e l’internazionalizzazione delle startup. La società 012Factory – il digital innovation hub con sede a Caserta – ha premiato una delle startup con servizi di incubazione.
Non ultimo, la European Venture Philantropy Association (EVPA) ha premiato la start-up selezionata con la partecipazione alla 17a Conferenza annuale dell’EVPA al fine di seguire una serie di sessioni sviluppate e realizzate da esperti nel campo della venture philantropy e degli investimenti sociali, ed entrare direttamente in contatto con diversi attori dell’economia sociale.
Ecco i finalisti:
- SmartGuide
- A Terraced Soundscape
- TouRegeneration – The School of Regenerative Tourism
- Nice Visions
- The DAW Makers
- G-Cement
- Ya Amar
- MARTE
- ReStructure Heritage
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December 10th, 2020
Sabato 12 dicembre 2020 la Rete Faro Italia, composta da comunità patrimoniali italiane che collaborano in linea con i principi della Convenzione di Faro, festeggerà l’avvenuta Ratifica della Convenzione assieme alla Sede italiana del Consiglio d’Europa.
Lo scorso 23 settembre la Camera dei Deputati ha infatti approvato in via definitiva l’adesione da parte dell’Italia alla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata nel 2005 a Faro (Portogallo).
La legge di ratifica è entrata in vigore il 24 ottobre. La Convenzione di Faro invita i Paesi a riconoscere e tutelare il patrimonio culturale materiale e immateriale.
É stata ad oggi ratificata da 20 Stati membri del Consiglio d’Europa, di cui l’Italia è il primo tra i paesi fondatori, e firmata da altri 6. La comunità patrimoniale è definita dalla Convenzione come: “una comunità di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nel quadro dell’azione pubblica, mantenere e trasmettere alle generazioni future”.
La Rete Faro Italia, nata nel 2019 e attualmente composta da 23 associazioni e istituzioni di varia natura, lavora per affrontare le sfide legate al settore del patrimonio culturale identificando attività e buone pratiche comuni.
Nonostante la pandemia non permetta attualmente di organizzare eventi in presenza, i membri hanno deciso di sensibilizzare la cittadinanza sulla portata positiva di questa ratifica organizzando sabato 12 dicembre, in contemporanea da tutta Italia, una serie di eventi e proiezioni video sulla pagina Facebook ufficiale della rete.
Tra i cinque membri aderenti della Campania anche i “Friends of Molo San Vincenzo”, progetto di Action Research del Cnr Iriss (con DSU Università degli Studi di Napoli Federico II, Aniai Campania e Propeller Club Port of Naples) nato per restituire il Molo alla città sia nella sua funzione portuale sia come spazio pubblico aperto alla comunità urbana, favorendo il dialogo e la collaborazione tra le Istituzioni coinvolte.
Le attività proseguono il percorso, iniziato nel 2015, sui processi decisionali collaborativi per il patrimonio culturale svolte dal gruppo di ricerca Cnr Iriss coordinato da Massimo Clemente con Eleonora Giovene di Girasole e Gaia Daldanise.
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December 9th, 2020
Il 23 settembre 2020, la Commissione europea ha proposto un nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo. Il quadro europeo che il Patto si propone di instaurare si articola in una serie di obiettivi specifici, accomunati dall’esigenza manifestata dalla Commissione di conciliare i principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità in materia di migrazione e asilo.
In occasione della presentazione del Patto, il Vice-Presidente con mandato per la promozione dello stile di vita europeo lo ha definito “una casa con tre piani”, rappresentati rispettivamente dai rapporti con gli Stati di provenienza e transito, dalla gestione delle frontiere esterne e da meccanismi di solidarietà interni all’Unione che assicurino un’equa distribuzione delle responsabilità in materia di gestione dei flussi migratori.
Per quanto concerne in particolare la dimensione esterna delle politiche migratorie dell’Unione, il Patto si propone di rafforzare la cooperazione con gli Stati terzi tramite azioni che includono (tra l’altro) il sostegno ai Paesi di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, l’assistenza allo sviluppo economico, il contrasto al traffico di migranti, la cooperazione in materia di rimpatri e la creazione di percorsi legali di immigrazione.
Nell’ambito della gestione delle frontiere esterne, il Patto raccomanda una pronta attuazione del Regolamento UE 2019/1896 del 13 novembre 2019 relativo alla guardia di frontiera e costiera europea (il quale ha istituito un corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea dotato di poteri esecutivi) e la realizzazione entro il 2023 di sistemi informatici in grado di dialogare tra loro al fine di registrare gli ingressi di migranti e richiedenti asilo.
In relazione infine all’obiettivo di garantire una piena solidarietà tra Stati membri, il Patto indica sia azioni da intraprendere in situazioni identificate come “crisi” sia una strategia strutturale di gestione dei flussi di migranti e richiedenti asilo verso il territorio dell’Unione. In questo contesto, è possibile richiamare ad esempio le proposte della Commissione in materia di riforma delle politiche in materia di migrazione economica.
La Commissione si propone tra l’altro di provvedere a una revisione della direttiva 2003/109/CE sui soggiornanti di lungo periodo (allo scopo di rafforzare la loro libertà di circolazione all’interno dell’Unione) e a una revisione della direttiva 2011/98/UE sul permesso unico (per semplificare le procedure di ingresso e soggiorno relative ai lavoratori scarsamente e mediamente qualificati).
Nel Patto, inoltre, la Commissione propone l’adozione un insieme di normative europee che comprendono – tra le altre – un regolamento che introduca una procedura di screening di cittadini di Stati terzi alle frontiere esterne, un regolamento sulla gestione di asilo e migrazione in sostituzione dell’attuale Regolamento Dublino, e l’adozione di un regolamento riguardante situazioni di crisi e forza maggiore in campo di immigrazione e asilo.
Una menzione particolare, infine, merita la duplice considerazione da parte della Commissione del legame tra migrazione e sviluppo. Da un lato, infatti, il Patto ribadisce il ruolo chiave dei programmi di assistenza allo sviluppo economico degli Stati terzi in un’ottica di riduzione dei flussi di emigrazione. Nel Patto, in particolare, la Commissione osserva che “gli sforzi volti (…) a ridurre la povertà e le disuguaglianze e promuovere lo sviluppo umano, l’occupazione e le opportunità economiche (…) possono contribuire a far sì che tutti i cittadini sentano che il proprio futuro è a casa propria”.
Dall’altro lato, l’obiettivo di attirare sul territorio dell’Unione migranti per motivi economici – perseguito tramite le già menzionate iniziative legislative – risulta nel Patto chiaramente motivato dalla consapevolezza del “contributo dei migranti che soggiornano legalmente alla riduzione delle carenze di competenze e all’aumento del dinamismo del mercato del lavoro dell’UE”.
Il CNR-IRISS proporrà, nel corso del 2021, una serie di attività seminariali di lavoro sui temi oggetto del nuovo Patto, collegate all’EULab – Summer School on Labour Migration in the European Union (Programma Erasmus+ dell’Unione Europea) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
December 9th, 2020
On 4 November 2020, the European Convention on Human Rights (ECHR), the first international legal instrument to give binding effect to the rights enshrined into the Universal Declaration of Human Rights, celebrated its much-awaited 70thanniversary. Over the course of its history, as pinpointed by the Council of Europe Commissioner for Human Rights Dunja Mijatović, the ECHR «has become a crucial instrument to protect the rights of hundreds of millions of people in Europe».
This is particularly evident if one considers the pivotal role played by the Convention in ensuring the fulfilment and enjoyment of human rights to migrants. Despite the almost daily violations which we are all aware of – such as: collective expulsions, detention in overcrowded and filthy camps, poor living conditions, or the externalization of migration controls to States where the most basic human rights are blatantly breached –, indeed, it is undeniable that the European Convention has been (and still is) an innovative and fairly effective instrument to afford protection to migrants, whatever might be the reason why they entered – or tried to do so – the territory of a Member State. The first reason of this success lies in the establishment of the European Court of Human Rights (ECtHR), a one-of-a-kind judicial body which has been capable of providing a dynamic and evolutive interpretation of the Convention, defined in the famous Tyrer v United Kingdom judgment as a “living instrument”. In this respect, suffice to mention the case-law of the Court concerning migrants’ extreme poverty and the respect for human dignity (Slingenberg), as well as the jurisprudence stemming from push back at borders or interception at sea.
Strictly related to, inter alia, the issue of push back operations, another reason supporting the assessment of the ECHR as an innovative instrument is the interpretation of the concept of “jurisdiction” by the ECtHR and, in greater detail, its extraterritorial scope. While it is true that examples of extraterritorial application abound in the practice of international human rights law (IHRL), it is likewise undeniable that the European Court has proved to be exceptionally inclined to extend the scope of application of the Convention beyond States’ territories. As far as migration issues are concerned, one can easily recall the Hirsi Jamaa v Italy case, in which the Court found Italy to be in breach of the non-refoulement obligation by sending back to Libya a group of migrants intercepted on the high seas.
Together with the Court, some of the rights set forth in the Convention itself had an innovative and propulsive impact on the whole field of IHRL. In this respect, Article 4 of Protocol No. 4 to the ECHR, enshrining the principle of prohibition of collective expulsion, banned – for the first time – en masse expulsions of aliens by host States. Such a provision had a catalytic effect, leading to the formation of a specular rule of customary international law, as explicitly acknowledged in its works on expulsion of aliens by the International Law Commission.
In conclusion, on the occasion of the 70th anniversary of the Convention, it is dutiful to acknowledge that the Convention has been a game-changer in the protection of migrants. This is even more important in light of the current time, in which anti-migrant rhetoric and policies spread all around Europe. Against this background, the Convention and its Court cannot but stand as a guardian of migrants’ fundamental human rights.
December 9th, 2020
L’articolo, dal titolo “The evolution of Covid-19 in Italy after the spring of 2020: an unpredicted summer respite followed by a second wave”, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, nasce dalla collaorazione tra il ricercatore Antonio Coviello e dell’associato Renato Somma del CNR-IRISS con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), la Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli, il Dipartimento Ambiente della Regione Puglia e New York University, ed è firmato anche da Giuseppe De Natale, Vito Marchitelli, Lorenzo De Natale, Claudia Troise, Karen Holmberg.
Il lavoro dimostra per la prima volta, in maniera quantitativa, che esiste un effetto stagionale estremamente significativo nella diffusione e gravità del Covid-19 in Italia.
Dopo i drammatici picchi di contagio e decessi dei mesi iniziali dell’epidemia, a partire da maggio il decorso della malattia è stato estremamente più mite.
Questa osservazione, che insieme al calo drastico dei contagi nei mesi estivi di giugno e luglio ha dato adito ad accese dispute tra chi sosteneva la necessità di mantenere alto il livello di precauzione e chi, al contrario, sosteneva il depotenziamento del virus, è stata per la prima volta quantificata statisticamente a livello nazionale. Lo studio ha analizzato in maniera sistematica, da aprile ad agosto 2020, il rapporto tra terapie intensive e casi attivi e quello tra decessi e casi attivi. Due indicatori estremamente significativi nello studio dell’aggressività della malattia. Entrambi questi rapporti, massimi all’inizio di aprile, calano bruscamente a partire da maggio e, all’inizio di agosto, raggiungono valori quasi 20 volte minori rispetto ad aprile.
Questi rapporti, sebbene siano influenzati dal continuo aumento dei tamponi, a un’analisi statistica accurata risultano comunque significativamente minori nei mesi estivi in cui, oltre a essere drasticamente diminuiti i contagi, anche il decorso della malattia è stato molto più mite”, prosegue Somma. “Questo effetto è in totale contrapposizione con quanto prevedevano, a maggio, i maggiori gruppi internazionali di epidemiologia, che arrivavano ad ipotizzare migliaia di decessi giornalieri ed oltre 150.000 pazienti bisognosi di terapie intensive entro luglio, dopo le riaperture totali effettuate in Italia dall’inizio di giugno.
L’effetto estivo è attribuito, nello studio, a due fattori fondamentali: l’effetto fortemente sterilizzante dei raggi solari ultravioletti sul virus e la nota stagionalità della risposta immunitaria, che in estate è più efficace e meno infiammatoria. Nella fase grave, il Covid-19 si comporta essenzialmente come una malattia auto-immune, in cui i danni maggiori agli organi bersaglio, in primis i polmoni, sono generati dalla risposta fortemente infiammatoria del sistema immunitario detta tempesta di citochine”, spiega Lorenzo De Natale, Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli. La marcata stagionalità del Covid-19, dimostrata per l’Italia, sembra ben riprodotta da tutti gli altri paesi europei, e potrebbe spiegare la bassissima letalità riscontrata in paesi caldi e soleggiati, anche in presenza di condizioni igieniche e sistemi sanitari molto più degradati che nei paesi Nord-Occidentali.
Infine, il lavoro analizza i trend di contagi in Italia nel periodo da fine agosto a fine ottobre, confermando l’effetto di mitigazione estivo con l’osservazione che da settembre, assieme a una impennata dei contagi, sono risaliti anche i rapporti tra terapie intensive e casi attivi e tra decessi e casi attivi nonostante il numero di tamponi costantemente in crescita, conclude Coviello, mostrando che l’impennata di contagi in atto da fine settembre, se non mitigata da ulteriori ed opportune misure di contenimento, porterebbe entro la fine dell’anno al collasso totale delle strutture sanitarie, con incrementi dei pazienti Covid in terapia intensiva a fine dicembre da circa 600 al giorno (nella migliore delle ipotesi) a circa 5000 (in quella peggiore).
December 9th, 2020
Comunità che bloccano, potenziano o che riconoscono l’azione individuale. Dal Valore-Utilità al Valore-Identità per una nuova microeconomia di comunità.
Con il termine Comunità si usa, in genere, riferirsi a diverse forme di vita associativa, dalle primordiali aggregazioni sociali, che sorgevano attorno a tratti caratteristici, usi e culture di un certo territorio, fino ai casi di condivisione via web di pratiche e conoscenze acquisite o anche di interessi specifici. Elementi di distinzione, tra i più ricorrenti nella letteratura contemporanea, si rifanno, quindi, alla natura dei legami che intercorrono tra le persone che ne prendono parte. Legami diretti o indiretti, incluso quelli uni o bi-direzionali, ovvero che descrivono flussi di comunicazione che vadano unicamente da un soggetto ad un altro oppure che attendano ad una risposta, un feedback per indirizzare una decisione partecipata. Ne risulta, quindi, possibile l’immediata associazione al concetto di rete, laddove ciò che conta non è solo il numero dei nodi e la natura dei legami, dato comunque utile a visualizzarne la morfologia, ma anche se ci siano dei patti, degli accordi, pregressi, che ne stabiliscano modalità di gestione e di condotta, laddove una delle condizioni fondanti sta nel definire le regole di accesso. Ad ogni modo, si tratterà di legami sempre escludibili tra loro. E ciò per dire che qualsiasi comunità, per quanto ‘aperta’ richiede l’assunzione di un costo all’accesso, sia esso espresso in termini pecuniari o solo emozionali o cognitivi (Farole, Rodriquez-Pose, Storper, 2011).
La microeconomia di comunità, tradizionalmente, focalizza l’attenzione all’analisi delle dinamiche alla base della scelta di adesione del singolo al gruppo. Con ciò, ha generato categorie diverse di Comunità a seconda che le si considerasse di natura associativa (à la Putnam) o basate su specifici interessi e convenienze (à la Olson). Infatti, si attribuivano al termine Comunità accezioni positive, derivanti, appunto, dall’idea che i legami sociali, basati sulla fiducia, avessero effetti positivi sulla società e sullo sviluppo economico o, al contrario, negative, o anche ostacolanti, limitanti la crescita dell’economia. In quest’ultima situazione, si argomentano i diversi motivi per i quali la vita collettiva frustri il soddisfacimento delle preferenze individuali. Per esempio, perché è impossibile aggregare i pareri dei singoli individui; o anche perché è inevitabile che la leadership incorra in problemi di rappresentatività (principale-agente); o, ancora, perché i gruppi creano dinamiche di tipo insider-outsider, che impediscono la mobilità dei fattori produttivi che è necessaria alla crescita economica di lungo periodo. In quest’ambito, va inserito tra gli altri, l’importante contributo di Olson, (1965), che sosterrà che tutte le aggregazioni sociali, partendo da quelle informali e fino ai gruppi organizzati, sono affette da vizi di ricerca della convenienza (rent-seeking), che limitano la crescita.
Le teorie di stampo behaviorista, più di recente, giungono ad evidenziare per le comunità un ruolo positivo ovvero di meccanismo di potenziamento dell’azione individuale. L’analisi, in quest’ambito, è costruita su ipotesi di partenza diverse ove l’idea che il singolo individuo pensi unicamente a massimizzare la propria utilità viene sostituita con la considerazione che lo stesso, invece, dia maggior peso alla costruzione-affermazione della propria identità. Così, uno dei maggiori vantaggi derivanti dall’azione di comunità è legato alla possibilità di innescare processi di emersione delle preferenze. In particolare, l’effetto – si dice – possa scaturire dalla possibilità di aderire ‘liberamente’ ovvero di scegliere, di optare per la partecipazione in specifici processi. Ciò rende l’attore più consapevole di ciò che egli stesso effettivamente desidera. Quando conosciamo le nostre preferenze, siamo anche disposti a mobilitare tutti i nostri sforzi per cercare di soddisfarle. Ciò favorisce la crescita e l’efficienza (cfr. Bowles, 1998). Questa opinione, è facile immaginare, sarà alla base di ulteriori interessanti implicazioni in materia di costi di coordinamento.
Inoltre, alla tradizionale convinzione che pone in conflitto la scoperta delle proprie preferenze con l’appartenenza ad una comunità, questi autori oppongono la convinzione che il conflitto stesso possa ritenersi superato allorquando le preferenze siano intrinsecamente correlate tra loro (cfr. Alesina, Fuchs-Schündeln, 2007). Non a caso, il principale collante che tiene insieme queste aggregazioni sociali, rappresentato dalla forte prossimità motivazionale tra gli attori, è, allo stesso tempo, l’elemento che ne consente la libera adesione. Le comunità di questo genere sono anche spazi di sperimentazione, che facilitano le relazioni sociali attraverso attività laboratoriali aperte ad accogliere l’errore (Vittoria, Napolitano, 2017). Per quanto sia utile fare ulteriori categorizzazioni del concetto di Comunità, diversi autori hanno proposto e discusso la nozione di Epistemic Communities, in quanto attori capaci di performare un learning esplorativo (Haas, 1992; Cowan, David, Foray, 2000; Cohendet, 2005). In quest’ambito, trova spazio la ricerca su come i leader e i gruppi riescono a formare le loro opinioni e punti di vista sul cambiamento economico (Storper et al., 2015).
Ad un livello più operativo, ovvero dell’azione tesa a perseguire le proprie preferenze, le comunità facilitano la traduzione delle idee in processi di produzione.
Sempre a tale livello, ovvero quello dell’agire, le comunità sono state viste come ambiti di mediazione di scambi interpersonali. Questo tipo di attività incrocia sovente l’opportunità di ridurre i costi. In particolare, quei costi che si sostengono per l’acquisizione delle informazioni, così come per garantire dell’affidabilità delle informazioni stesse. L’adesione alle comunità, quindi, può assistere a queste forme di transazione, attraverso l’effetto reputazione, la capacità di una comunicazione immediata e sintetica (signalling), oppure quella di indirizzare e filtrare flussi informativi. Infine, l’azione di comunità può essere anche facilitata allorché la comunità stessa sia capace di effettuare scambi di conoscenze e informazioni attraverso il web. In questi casi, si verifica di frequente ciò che Granovetter (1973) chiamò ‘la forza dei legami deboli’.
Infine ci sarebbe il passaggio finale, ovvero quello che, seguendo le fasi del riconoscimento di sé e delle proprie preferenze, poi quello del metterle insieme e di favorirne la composizione di scelte-azioni collettive, corrisponderebbe all’ottenimento dei risultati in tali contesti. Naturalmente, qualsiasi contributo all’efficienza economica scaturente dalla possibilità di aiutare gli individui a scoprire le loro preferenze, andrebbe poi bilanciato con i costi per l’assunzione delle scelte conseguenti. Si tratta quindi dei costi che, la dottrina indica, possono derivare dalle dinamiche principale-agente. Laddove i principals sono costretti a combinare, aggregare le loro preferenze con quelle degli altri, a loro volta possibilmente diverse, e trovare un agente che le rappresenti. La letteratura offre diverse ipotesi per l’analisi, connesse per esempio all’ampiezza dei gruppi, ma anche alla natura delle preferenze. Qui, inoltre, si contende la necessità di estendere le ricerche per sapere di più su quali tipologie di preferenze si tratti, e sulla loro soglia minima necessaria per l’aggregazione.
Infine, segnaliamo che ulteriore attenzione è rivolta in dottrina al fatto che l’adesione ad una comunità può, inoltre, facilitare l’espressione delle preferenze anche attraverso la capacità intrinseca di dar loro voce (cfr. Sen, 2004; Appiah, 2011).
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December 9th, 2020
La collaborazione del CNR-IRISS con l’Università degli studi di Roma UNITELMA La Sapienza, in linea con la mission dell’istituto, è da anni vocata all’implementazione di attività di studio sull’innovazione e servizi nell’ottica dello sviluppo della competitività internazionale di imprese e territori.
Il prodotto scientifico è frutto della sinergica attività degli studiosi di entrambi gli enti; in particolare, hanno curato il volume in qualità di editors Giovanni Di Trapani ricercatore del CNR-IRISS, Letizia Lo Presti, Giulio Maggiore e Pasquale Sarnacchiaro affiliati dell’Università degli studi di Roma tutti afferenti al Dipartimento di Diritto ed Economia.
Il volume, Book of Proceedings della IV Conferenza Internazionale sul Tourism Dynamics and Trends (ICTDT2019) tenutasi a Roma dal 22 al 24 ottobre 2019, presenta un approfondimento sull’impatto delle trasformazioni digitali e sugli sviluppi economici e sociali nel settore dell’ospitalità e del turismo. Il prodotto offre un’ampia panoramica sulle dinamiche e sulle tendenze del turismo; gli editors hanno, difatti, prodotto un vero e proprio focus sul fenomeno turistico caratterizzando il volume su tematiche interdisciplinari e concentrandosi sugli argomenti correlati ai più recenti progressi nel settore del turismo. I differenti argomenti trattati spaziano così dalla gestione alla sostenibilità passando per l’analisi dell’impatto economico e sociale del turismo dando ampio risalto anche al tema della digital distruption ed ai social media.
La conferenza è stata organizzata da: Università di Akdeniz (Turchia), Università di Siviglia (Spagna), Università del Sannio (Italia), Università di Swansea (Regno Unito) e Università di Roma Unitelma La Sapienza (Italia). Le confereesprovenivano dalla parte occidentale, centrale e orientale del continente europeo. I partecipanti internazionali hanno rappresentato paesi come Turchia, Regno Unito, Grecia, Portogallo, Spagna, Austria, Olanda, Ungheria e Romania. I partecipanti alla conferenza hanno presentato documenti che riflettono i recenti progressi nel campo dell’impatto delle trasformazioni digitali sugli sviluppi economici e sociali nel settore dell’ospitalità e del turismo. L’ICTDT2019 è stato organizzato per offrire una panoramica delle dinamiche e delle tendenze del turismo con l’obiettivo di promuovere una rete di ricercatori ed esperti che vogliano condividere le loro visioni di ricerca e diffondere le loro conoscenze.
Il convegno è stato organizzato in nove sessioni: Sostenibilità e turismo; Social media e turismo; Comportamento dei consumatori e turismo; Gestione e turismo; Innovazione e destinazione turistica; Benessere e turismo; Sviluppo del turismo e sostenibilità; Turismo e impatto economico e sociale.
In questo libro il lettore troverà una selezione dei lavori presentati durante le sessioni della Conferenza.
Gli autori, in generale, sottolineano la necessità di una migliore comunicazione del rischio attraverso vari canali d’informazione per responsabilizzare i fornitori in prima linea in modo che possano fornire servizi sanitari adeguati e promuovere viaggi sicuri e salutari.
Nello specifico, K. Antonopoulos, V. Plaka, C. Skanavis e V. Vitalis utilizzano il caso studio dell’isola di Skyros per analizzare il profilo dei turisti e le loro caratteristiche prima, durante e dopo il loro arrivo nella destinazione turistica. Inoltre, il documento cerca di valutare gli aspetti vitali e unici del rapporto tra il turismo e lo sviluppo sostenibile dell’isola di Skyros. M. Brogna e V. Cocco affrontano il tema dell’utilizzo dei social media nel turismo, focalizzando la loro attenzione sul caso studio di Instagram. Gli autori indagano il ruolo dei social network nell’esperienza pre/post viaggio. M. D’Arco, V. Marino e R. Resciniti mostrano l’importanza del Momento Zero della Verità (ZMOT) nella fase di pre-acquisto del ’viaggio’. Gli autori trovano che la ZMOT per i prodotti e i servizi turistici avviene attraverso una varietà di punti di contatto (ad esempio, i motori di ricerca e i social media).
D. Navarro e G. Rodriguez offrono consigli teorici e linee guida pratiche che una struttura ricettiva a basso costo può seguire per migliorare le loro prestazioni sui Social Media.
L. Lo Presti, G. Maggiore e M. Mattana si occupano dei comportamenti turistici nelle destinazioni eco-turistiche. Sono illustrate le testimonianze delle esperienze dei clienti eco-kibbutz. Gli autori propongono approcci turistici per la scelta di destinazioni sostenibili. I risultati possono offrire spunti per l’ospitalità e i fornitori di servizi turistici su come migliorare l’esperienza del cliente, destinando investimenti in modo da soddisfare il crescente numero di eco-turisti durante l’intero viaggio del cliente. V. Alfano, E. De Simone, M. D’Uva e G. L. Gaeta dimostrano che l’esposizione ai programmi televisivi ha avuto un impatto sulle abitudini dei consumatori. I risultati suggeriscono che il turismo gastronomico aumenta mentre il programma è in onda. G. Di Trapani parla di E-assicurazione: una componente esperienziale e innovativa del viaggio turistico. L. Battaglia, E. Cedrola e V. Danneo propongono una programmazione turistica per un sistema turistico intelligente in Calabria. R. Mihailescu si occupa dell’impatto dello sviluppo turistico e delle sue conseguenze sulla biodiversità. L’autore illustra i risultati preliminari con il caso di studio dell’estuario del fiume Nahoon nell’East London. L’autore ritiene che sia gli abitanti del luogo che i visitatori dell’estuario di Nahoon attribuiscano grande importanza al miglioramento dei fattori che contribuiscono ad aumentare il suo potenziale ricreativo. F. Baglioni, F. Cappelloni e S. Staffieri discutono le abitudini dei mototuristi dimostrando che la moto-aggregazione e il moto-turismo potrebbero essere opportunità per rilanciare i territori rurali in modo sostenibile.
P. Pavone offre un’analisi delle dinamiche e delle prospettive nell’era digitale per gli alberghi italiani. Gli autori dimostrano che nell’era digitale l’industria alberghiera italiana ha tutte le potenzialità per essere più competitiva. Anche C. Costa. e R. Costa offrono il punto di vista di un’azienda e analizzano come le dinamiche di investimento delle piccole e micro imprese del settore turistico possano contribuire alla creazione di un settore di business forte e dinamico che contribuisca a qualificare e migliorare le destinazioni. Infine, G. Migliaccio fornisce un excursus del turismo accessibile in Italia. L’autore presenta anche alcune iniziative italiane per la popolazione disabile e si concentra sul contributo attuale e potenziale dell’ICT e della realtà digitale basata sulla diffusione di informazioni su Internet.
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December 9th, 2020
La trasparenza dell’azione di governo è un principio comune all’interno dei sistemi giuridici democratici. Negli ultimi decenni, esso è emerso come un principio fondamentale della governance democratica, essenziale per promuovere lo stato di diritto, consentire la partecipazione del pubblico ai processi decisionali, combattere la corruzione e migliorare i risultati dello sviluppo. Tuttavia, il concetto di trasparenza è complesso e dinamico; esso evolve costantemente in seguito agli sviluppi politici, sociali e tecnologici e si riflette in una varietà di norme, procedure e strumenti di attuazione.
In questo contesto, l’accesso alle informazioni detenute dalle autorità pubbliche ha assunto un ruolo di primaria importanza: esso è al centro di intense dinamiche evolutive nell’ordinamento giuridico internazionale, ma anche al centro del dibattito politico e mediatico che circonda la crisi di legittimazione che le istituzioni pubbliche stanno vivendo ai diversi livelli di governo. Crisi accentuata e resa ancor più evidente dalla recente pandemia di Covid 19.
Nella prassi internazionale, l’accesso del pubblico alle informazioni governative è emerso, da un lato, coma uno strumento per promuovere la governance democratica e migliorare i risultati di sviluppo, dall’altro, come un autonomo diritto umano, essenziale per chiamare i governi a rispondere del loro operato e per rendere effettivi altri diritti (‘rights multiplier’).
Il diritto del pubblico (individui e persone giuridiche e loro gruppi o associazioni) di accedere alle informazioni detenute dalle autorità pubbliche è scaturito dalla ‘dimensione sociale’ del diritto alla libertà di espressione, e si affermato come “un requisito essenziale per l’esercizio della democrazia” (Corte Interamericana per i diritti umani). Esso è espressione delle nuove dinamiche e dei nuovi attori della cd. società dell’informazione, che richiedono e implicano una diversa relazione tra governo e società civile.
Nel corso del seminario, la dott.ssa Rossi ha delineato l’evoluzione del diritto di accesso all’informazione governativa nella prassi internazionale in materia di diritti dell’uomo, al fine di individuare le dinamiche evolutive in atto e le questioni giuridiche emergenti. Un’attenzione particolare è stata dedicata al contesto europeo, in particolare alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’Unione europea. Alla luce di tale analisi, è stato, poi, analizzato il quadro normativo italiano, con particolare riferimento al D.Lgs. n. 97/2016, (cd. ‘Freedom of Information Act italiano’), al fine di valutare i risultati e i limiti delle normative vigenti e di esaminare se e in quale misura esse garantiscono un diritto di accesso alle informazioni in possesso delle autorità pubbliche in linea con gli standard internazionali.
Il Seminario, introdotto dal Prof. Roberto Virzo, si è svolto in via telematica presso l’Aula virtuale Magna dell’Università LUISS, con la partecipazione degli studenti dei corsi di diritto internazionale del Prof. Fulvio Maria Palombino e del Prof. Roberto Virzo.
December 9th, 2020
Il 29 aprile 2020, nell’ambito di un ‘high level meeting’ del Gruppo di lavoro del Parlamento europeo su Responsible Business Conduct, il Commissario europeo della Giustizia, Didier Reynders, ha annunciato l’avvio di un’iniziativa da parte della Commissione europea destinata ad introdurre una legislazione ad hoc in materia di obblighi di due diligence in materia di diritti umani per le aziende europee.
L’azione della Commissione europea evidenzia la necessità di una legislazione vincolante a livello europeo e che contribuisca ad assicurare l’accesso effettivo ai rimedi per le vittime, individui, comunità ecc., e renda effettiva la responsabilità per le violazioni dei diritti umani che avvengono nell’ambito delle attività delle imprese. La proposta, che si basa su una serie di strumenti internazionali, in particolare i Principi guida ONU su imprese e diritti umani del 2011 e le linee guida dell’OCSE su due diligence e condotta d’impresa responsabile del 2018, parte dalla constatazione del fallimento delle tradizionali misure volontarie, che non sono riuscite a cambiare significativamente il modo in cui le imprese gestiscono il loro impatto sociale, ambientale e non sono state in grado di fornire alcun adeguato rimedio all’impatto negativo sui diritti umani derivante dalle loro attività di business.
Una bozza di strumento legislativo è stata preparata dal Rapporteur del Comitato Affari Legali del Parlamento europeo, l’eurodeputata Lara Wolters, e resa pubblica l’11 settembre 2020 (v. Progetto di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio su Corporate Due Diligence and Corporate Accountability).
La bozza evidenzia le difficoltà che sussistono nel conciliare la molteplicità di interessi in gioco e come sia importante trovare il giusto livello di regolamentazione per ogni impresa e fattispecie. Uno dei punti più problematici, in effetti, è che la futura normativa, infatti, non dovrà essere troppo debole perché altrimenti correrebbe il rischio essere inefficace dal punto di vista della protezione dei diritti umani, ma neanche troppo rigida perché altrimenti potrebbe comportare il ritiro delle imprese da determinati mercati, provocando altre tipologie di conseguenze negative di tipo economico e sociale.
Allo stato attuale, la forma giuridica prescelta per il futuro strumento legislativo, è quello di una direttiva. Ciò comporta, a differenza dall’adozione di un regolamento, una armonizzazione minima a livello europeo in tema di due diligence e diritti umani da parte delle imprese, e cioè la definizione di obiettivi che tutti i Paesi UE devono realizzare, lasciando poi agli Stati membri, e al loro margine di discrezionalità, l’individuazione delle modalità più opportune per raggiungere gli obiettivi della direttiva.
Per quanto riguarda il campo di applicazione, definito all’articolo 2 del progetto di direttiva, essa dovrebbe applicarsi a tutte le imprese soggette al diritto di uno Stato membro o stabilite nel territorio dell’UE e, inoltre, alle imprese soggette al diritto di uno Stato non membro e a quelle imprese non stabilite nel territorio dell’UE, ma che operino nel mercato interno europeo. La disposizione riflette evidentemente la volontà che qualsiasi futura normativa UE in materia di due diligence riguardi tutti i tipi di imprese, comprese quelle che forniscono prodotti e servizi finanziari, indipendentemente dalle loro dimensioni, dal settore o dall’attività, e indipendentemente dal fatto che esse siano di proprietà pubblica o controllate (cfr. il considerando 5). La bozza, tuttavia, non definisce la nozione di “impresa” (nel testo ‘undertakings’), lasciando quindi tale definizione al margine di apprezzamento degli Stati membri, con il rischio di compromettere gli obiettivi di armonizzazione e di certezza del diritto. È altresì interessante il fatto che la bozza di direttiva faccia riferimento alla catena del valore (la cd. ‘value chain’) anziché alla catena di fornitura (la cd. ‘supply chain’) di un’impresa con la conseguenza di estendere l’applicazione delle sue disposizioni ad un gruppo di imprese più ampio di quello che sarebbe interessato dalla nozione di catena di fornitura.
La disposizione chiave della bozza di direttiva è ovviamente l’art. 4 che introduce l’obbligo per gli Stati membri di adottare norme necessarie ad assicurare che le imprese pongano in essere processi di due diligence previsti dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo. Tali obblighi includono l’individuazione e la valutazione di qualsiasi rischio relativo ai diritti umani e l’ambiente: a tal fine l’art. 3 definisce il ‘rischio’ come l’impatto negativo sui diritti umani, potenziale o effettivo su individui, gruppi di individui e altre organizzazioni. Se l’impresa identifica dei rischi, essa è tenuta a stabilire una strategia di due diligence volta a: definire i rischi individuati e il loro livello di gravità e di urgenza; divulgare pubblicamente le informazioni dettagliate relative alla catena del valore dell’impresa, compresi nomi, sedi e altre informazioni pertinenti riguardanti le filiali, i fornitori e i partner commerciali; indicare le misure per porre fine, prevenire o mitigare i rischi identificati; stabilire le priorità di azione nel caso in cui l’impresa non sia in grado di affrontare tutti i rischi simultaneamente; e specificare la metodologia utilizzata per la definizione della strategia di due diligence, comprese le informazioni sulle parti interessate consultate durante l’intero processo.
L’art. 9 della bozza di direttiva richiede che gli Stati stabiliscano i meccanismi di rimedio necessari per dare la possibilità a tutti i soggetti interessati di far valere eventuali violazioni dei diritti umani che avvengono nell’ambito delle operazioni economiche delle imprese. Tali meccanismi devono rispettare i requisiti fissati dal Principio 31 dei Principi Guida ONU. L’art. 19 disciplina le forme di responsabilità e sancisce che gli Stati fissino sanzioni effettive proporzionate e dissuasive nel caso di violazione delle norme nazionali di trasposizione della futura direttiva. Un aspetto importante riguarda il tema della responsabilità civile, rispetto al quale la bozza di direttiva non dice molto, limitandosi ad affermare all’art. 20, che un’impresa che abbia agito con la dovuta diligenza in conformità a tale direttiva, non esonera la stessa da qualsiasi responsabilità civile che possa incorrere in base al diritto nazionale.
In conclusione, la pubblicazione il progetto di direttiva segna un importante passo in avanti dell’azione Europea in materia di sviluppo sostenibile. Non mancano ovviamente alcune criticità. Il progetto di direttiva, ad esempio, non opera alcun riferimento alla responsabilità da collegamento diretto di cui al Principio 13 dei Principi Guida ONU, con la conseguenza di escludere verosimilmente dal suo ambito di applicazione e quindi dall’obbligo di due diligence le catene di fornitura e le violazioni dei diritti umani che avvengono a valle di tali catene. Va detto, ciononostante, che la bozza, che in quanto tale può senz’altro essere migliorata nel corso del processo legislativo, costituisce un primo segnale per le imprese che operano nell’Unione europea e che non hanno ancora attuato processi di due diligence in materia di diritti umani in conformità con i Principi Guida ONU, che ciò sarà loro richiesto in un futuro non troppo lontano e che, in caso in cui non provvederanno ad adeguarsi, saranno passibili di sanzioni. Non da ultimo, il progetto di direttiva potrebbe anche dare un ulteriore impulso a quegli Stati europei che, come la Svizzera e la Germania, stanno già valutando di adottare legislazioni nazionali in materia di due diligence sui diritti umani.
December 9th, 2020
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