Institute for Research on Innovation and Services for Development

Resilience - Innovation - Sustainable Development Transparency – Organization – Meritocracy

Venerdì 19 marzo, dalle 15:30 alle 17:30, si terrà la tavola rotonda online dal titolo “Livorno: l’ecosistema porto-città-territorio-comunità. Logistica, lavoro e portualità: una visione innovativa per il futuro”, organizzata dal CNR IRISS, Comune di Livorno e RETE -Associazione internazionale per la relazione fra porto e città.

L’iniziativa è promossa in ambito scientifico, istituzionale, associazionistico e professionale ed è finalizzata allo sviluppo della portualità e del suo indotto attraverso il confronto delle istituzioni e del cluster marittimo. Si intende avviare una riflessione sulle prospettive di sviluppo delle imprese portuali e sulla necessità – sempre più urgente nel contesto della pandemia – di una logistica 5.0, capace di affrontare gli scenari futuri in termini di automazione, connettività, sostenibilità, rigenerazione energetica e capitale umano.

Il dibattito sarà guidato da Massimo Clemente (Direttore CNR IRISS e Direttore Scientifico di RETE) e Barbara Bonciani (Assessora al Porto e Integrazione porto-città del Comune di Livorno e membro del Comitato Scientifico di RETE). Fra i focus tematici dell’incontro: gli scenari nazionali della logistica 5.0, con particolare riferimento ai porti e alla catena logistica integrata; l’automazione e robotica come asset di sviluppo a supporto della portualità; la semplificazione digitale e competitività del sistema città-porto; il capitale umano: riconversione delle competenze e sviluppo di lavoro di qualità.

All’incontro, parteciperanno Ivano Russo, Direttore Generale Confetra; Piero Neri, Presidente di Confindustria Livorno e Massa Carrara; Paolo Dario, Prorettore alla Terza Missione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Gloria Dari, Presidente di Spedimar Livorno, recentemente nominata presidente di Confetra Toscana.

L’iniziativa si inserisce in un ciclo di webinar promossi da RETE in Italia sui temi della logistica, portualità e integrazione città-porto in Italia. Le attività proseguono il percorso, iniziato nel 2015, sui processi decisionali collaborativi per il sistema porto-città svolte dal gruppo di ricerca CNR IRISS coordinato da Massimo Clemente con Eleonora Giovene di Girasole e Gaia Daldanise.

L’incontro sarà trasmesso in streaming sul canale YouTube del Comune di Livorno dalle 15.30 alle 17.30.

March 9th, 2021

Invitalia, in collaborazione con la Reggia di Caserta, organizza un evento digitale il cui obiettivo è raccontare le cinque misure agevolative che l’Agenzia nazionale per lo Sviluppo gestisce nell’ambito della creazione e dello sviluppo d’impresa: Cultura Crea, Smart&Start Italia, Nuove Imprese a Tasso Zero, Resto al Sud e Italia Economia Sociale.

Si partirà dalle storie di chi è già riuscito a mettersi in proprio per cercare di stimolare la nascita di imprese creativo/culturali nel territorio campano che potranno contare su partner strategici come Invitalia e la Reggia di Caserta.

Durante i lavori si discuterà di:

  • “Innovazione sociale a supporto di un corretto sviluppo degli assett culturali e del territorio” con Vittorio Fresa, Responsabile Service Unit Cultura Crea di Invitalia e con Alessandro Manna, Presidente Siti Reali Onlus
  • “Economia Sociale per la valorizzazione delle risorse culturali, paesaggistiche, relazionali e come leva di sviluppo economico e imprenditoriale” con Vincenzo Durante, Responsabile Area Occupazione, Incentivi e Innovazione di Invitalia e con Enrico Vellante, Co-fondatore di 012Factory.

Media

https://www.invitalia.it/chi-siamo/area-media/notizie-e-comunicati-stampa/evento-reggia-di-caserta

March 5th, 2021

The Association of European Schools of Planning (AESOP) organized the 2021 Heads of Schools (HoS) meeting Planning Education for Europe and Beyond as a free open online event hosted at the TU Wien. The aim is to have a broad discussion about the future of spatial planning education with all interested parties.

For detailed information and to register please click here for the website.

March 4th, 2021

Ad esito di due sondaggi tra le aziende espositrici e tra i buyer nazionali ed esteri, Fiere di Parma e Federalimentare hanno deciso che Cibus 2021 si terrà da martedì 31 agosto a venerdì 3 settembre.

La XX edizione di Cibus 2021 (dopo la cancellazione dell’edizione 2020 a causa della pandemia) rappresenterà così di nuovo la vetrina del settore del food&beveragenazionale. Saranno esposti i nuovi prodotti trainanti in tutti i settori merceologici: dai salumi ai formaggi, dalla pasta al pomodoro, dall’olio ai prodotti da forno, dal beverage al grocery. La riapertura di Cibus coincide con una ripresa dei consumi interni e dell’export dell’agroalimentare, che in realtà hanno evidenziato una buona tenuta anche nell’anno appena trascorso: in base ai dati Istat, elaborati da Federalimentare, +0,1% nei primi 10 mesi del 2020, che preludono ad una crescita significativa nel primo semestre 2021. La scommessa è soprattutto sui buyer internazionali, per i quali è stato allocato un budget rilevante per incentivarne l’afflusso e rispetto ai quali non è mancato il dialogo negli ultimi mesi grazie al consolidamento della piattaforma B2B My Business Cibus, ai webinar di Cibus Lab e alla partecipazione di Cibus alla fiera Food Hotel China di Shanghai (lo scorso novembre) e al Gulfood di Dubai (21 febbraio 2021).

A Cibus 2021 sono attese circa tremila aziende espositrici italiane, e saranno presenti tutti gli attori. La fiera rappresenterà dunque un’occasione per analizzare i grandi cambiamenti nella filiera agroalimentare, sia a livello produttivo sia a livello di consumi.

March 4th, 2021

D. Come è nato il progetto?

R. Il progetto “Tecniche Sapienti. Progettiste e docenti delle facoltà di Ingegneria e Architettura di Roma Sapienza” che coordino è nato per coprire un vuoto di visibilità nei confronti delle donne che hanno studiato, si sono laureate o hanno insegnato nelle facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Ateneo Sapienza.

La produzione culturale e progettuale delle donne in Italia fatica a essere riconosciuta, specialmente per quello che riguarda le discipline tecniche. E molti storici tradizionali continuano a pensare che non ci siano state donne nel campo della progettazione, se non a partire dalla seconda metà del Novecento. Ancora oggi sono pochissimi i nomi femminili all’interno dei manuali di storia dell’architettura e sulla stessa Wikipedia alla voce Architetti Italiani del XX secolo, su circa 200 voci, registra solo 24 presenze femminili!

D. Quali obiettivi si è posto il progetto?

R. Obiettivo della ricerca (finanziata con fondi Sapienza) è coprire un vuoto di conoscenza rispetto alle figure di ingegnere e architette che hanno partecipato alla vita dell’Ateneo. Conoscere, nominare, ricordare le prime che hanno studiato e praticato le discipline tecnico-progettuali, far emergere le loro collaborazioni, ristabilire le corrette attribuzioni nei lavori, costituiscono altrettanti passi fondamentali per ricomporre l’identità di genere, rinnovare la consapevolezza di uno specifico professionale, contribuire alla storia delle discipline e più in generale delle donne stesse.

D. Quale è stata la modalità di lavoro adottata per il progetto?

R. Abbiamo analizzato dati relativi a iscritte, laureate e docenti, individuato i loro campi di lavoro, distinguendo in attività liberali o presso amministrazioni, nell’insegnamento o nella carriera accademica. Abbiamo preso in esame progetti e opere, spesso attingendo ad archivi personali non ancora sistematizzati. Abbiamo intervistato i familiari di queste pioniere e in alcuni casi abbiamo incontrato qualcuna di loro, non senza emozione!

Abbiamo organizzato le loro storie seguendo delle scansioni temporali significative:

1910-1935. Le pioniere. Punto di partenza della ricerca non coincide con la fondazione dell’Ateneo, né con il 1817, anno di istituzione della Scuola di Ingegneria, ma con il 1910, quando la Scuola apre l’iscrizione delle donne come studentesse o uditrici.

1935-1946. Le madri. La seconda fase inizia nel 1936, anno in cui la Scuola si trasforma in Facoltà ed entra a fare parte dell’Università di Roma. Le donne sono solo qualche unità.

1946-1969. Le intraprendenti. La terza fase inizia nel 1946 quando il diritto di voto viene esteso alle donne assieme all’obbligo dell’istruzione primaria. La presenza delle donne nelle facoltà di Architettura e Ingegneria sale ad una decina per anno.

Il nostro lavoro al momento si ferma qui rimandando lo studio delle Affermate (1969-1980), delle Innovatrici (1980-2000) e delle Giovani (dopo il 2000) ad una prossima puntata!

Inoltre, ogni anno, il gruppo di ricerca organizza un ciclo di seminari sul tema ogni ultimo venerdì del mese.

D. So che la ricerca è incrementale e aperta alle collaborazioni.

R. Si, sul sito della Facoltà è possibile consultare la pagina del progetto e gli elenchi delle professioniste sia in ordine alfabetico sia cronologico. Il gruppo di lavoro è alla ricerca di informazioni sulle “Tecniche Sapienti” sia di tipo scientifico e progettuale (libri, articoli e saggi, brevetti, progetti e realizzazioni), sia di tipo biografico.

March 4th, 2021

D. Rigenerazione urbana e Commercio, come è nato questo connubio?

R. Che il sistema del commercio, con particolare riferimento a quello cosiddetto “di vicinato” o tradizionale, giochi un ruolo fondamentale all’interno dei processi di rigenerazione urbana, è – per noi che siamo una associazione di categoria che sul territorio provinciale rappresenta più di 4.000 imprese dei settori commercio, turismo e servizi – una convinzione ferma e inamovibile da anni. Avvalorata, se possibile ancor di più, dalle dinamiche che le città, i nostri settori economici e le comunità nel loro complesso hanno vissuto in questo periodo di emergenza pandemica e si troveranno ad affrontare nel periodo della, speriamo, prossima costruzione di una “nuova normalità”.

Il commercio è, infatti, il settore economico più strettamente connesso e correlato al tessuto urbano, ne è parte integrante, lo permea, lo costituisce quasi. O forse senza quasi. Dove inizia il negozio e finisce la strada? Qual è il confine, in questo senso, tra pubblico e privato? E ancora: La bellezza, la cura e la pulizia della via hanno effetti sui negozi lì ubicati o è piuttosto la qualità e la tipologia di questi ultimi a determinare l’immagine e le funzioni di una strada? Moltissime sono le variazioni sul tema, senza nemmeno scomodare, in tal senso, il tema della sicurezza e la funzione di presidio del territorio che i negozi di vicinato svolgono, che fanno comprendere il legame indissolubile tra città e negozio, evidenziando non soltanto il ruolo economico ed occupazionale, ma anche quello sociale, culturale ed identitario che i negozi svolgono all’interno delle comunità di appartenenza. Ecco, dunque, che il concetto di “soglia”, quando si parla di relazione tra commercio e città, appare di difficile definizione, perché la via (lo spazio pubblico) entra direttamente nel negozio (tanto in quanto quasi fisico, quanto soprattutto figurato) e viceversa.

Il legame è antichissimo: la relazione tra città e negozi è una storia che si modifica ma non si perde nel tempo. Da sempre, infatti, per città, popoli e territori, lo sviluppo dei commerci ha rivestito un ruolo cruciale. Si pensi, ad esempio, a quanto avvenuto a partire dal Medioevo: la vicenda storica dei “mercanti” testimonia come la crescita delle città sia fortemente legata agli scambi commerciali. Le città sono luoghi di passaggio e di affari e così cambia anche la visione del “forestiero”, non più visto come un nemico, ma come un’opportunità. L’evoluzione, anche urbanistica, delle città, dunque, si lega fortemente al ruolo del suo commercio.

Il legame tra città e commercio, anche a livello urbanistico, se col Medioevo si sviluppa e prende sempre maggiore incidenza nella crescita dei nascenti centri urbani, ha origini ancora più antiche.

Si pensi all’insula romana: una tipologia edilizia che costituiva, in buona sostanza, il «condominio» dell’antica Roma tardo-repubblicana e poi imperiale, dove il piano terra era destinato a botteghe di vario genere (tabernae), dotate di un soppalco per il deposito dei materiali e delle merci (i moderni magazzini).

Anche oggi, nonostante scenari e paradigmi modificati dall’evoluzione tecnologica e culturale che la globalizzazione ed il progresso hanno portato e, negli ultimi 12 mesi, dagli effetti della pandemia da Covid-19, le relazioni tra politiche urbane e commerciali sono strettissime.

Per questo, come associazione di categoria che rappresenta le imprese del commercio, del turismo e dei servizi, da anni ci rapportiamo e ci occupiamo a livello locale delle tematiche legate alla rigenerazione urbana, convinti che la sempre più forte collaborazione tra le amministrazioni comunali e le associazioni di categoria come la nostra, costituisca una importante e decisa spinta alla determinazione di nuove ed incisive politiche per la rinascita dei sistemi economici ed urbani.

Come dice il Presidente nazionale di Confcommercio – Imprese per l’Italia, Carlo Sangalli, “Mai come in questo momento storico, la rigenerazione urbana ha bisogno anche della rigenerazione umana”, riferendosi alla necessità di nuove competenze e nuove riflessioni a servizio della qualità della vita, della bellezza, della sicurezza e della sostenibilità, di cui le nostre città, le nostre comunità e di conseguenza le nostre attività hanno necessariamente bisogno.

D. A quando possiamo far risalire il vostro impegno sul tema della rigenerazione urbana?

R. Il nostro impegno sul tema della rigenerazione urbana è consolidato da anni e, se possibile, si è rafforzato ancor più in quest’anno pandemico, perché i mesi passati hanno certamente determinato un cambiamento che non sarà solo transitorio, ma che costituirà, anche nelle abitudini di acquisto e di vita nelle città, l’eredità del lockdown con la quale dovremmo rapportarci, sapendo bene che il periodo di pandemia ci ha restituito ancor più un concetto per noi chiave: la rete del commercio di vicinato continua e continuerà a rappresentare un elemento strutturale ed imprescindibile di città e comunità. Perché possiede una tipologia di bene raro, senza un prezzo ma con un altissimo valore: il bene relazionale.

È a questo, dunque, che con particolare attenzione guardiamo (ed è questo che preserviamo) nel rapportarci con le Pubbliche Amministrazioni locali per la costruzione di progetti condivisi di rigenerazione urbana.

Siamo partiti più di sei anni fa, nel 2015, quando Confcommercio nazionale ha siglato con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) un Protocollo di Intesa per arginare la perdita di funzioni delle città e combattere la desertificazione commerciale, individuando azioni e progetti congiunti per la tutela dei sistemi economici urbani ed il rafforzamento del ruolo del commercio di prossimità nei processi di trasformazione urbana, agendo in sinergia con le amministrazioni locali.

La nostra Associazione territoriale, infatti, ha declinato il Protocollo nazionale sul proprio territorio, siglando l’11 luglio 2016 un Protocollo di Rigenerazione Urbana locale con il Comune di Alessandria, che ha dato vita al Laboratorio di Rigenerazione Urbana territoriale.

Siamo partiti, a quel tempo, dall’analizzare il crescente fenomeno dei “negozi sfitti” nella città e lo svuotamento progressivo delle funzioni, anche di servizi, che il centro storico del nostro capoluogo di provincia stava vivendo, per proporre alcuni progetti che potessero costituire, anche simbolicamente, una inversione di tendenza.

Il fenomeno della desertificazione dei centri storici che, da settembre 2009 a settembre 2019 ha visto in Italia la scomparsa di 200.000 negozi di vicinato, secondo la ricerca sulla “Demografia d’impresa nelle città italiane” realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio nazionale, non ha risparmiato, infatti, il nostro territorio. La nascita del Laboratorio di Rigenerazione Urbana del territorio di Alessandria, infatti, attuando a livello locale il Protocollo di Rigenerazione Urbana siglato tra Anci e Confcommercio nazionale, è nato dunque con l’esigenza di trovare le condizioni per contrastare in modo deciso il crescente pericolo di inaridimento del tessuto sociale, commerciale e culturale che la città corre, in modo direttamente proporzionale alla crescita del citato fenomeno della desertificazione commerciale. La nostra Associazione, promuovendo la costituzione del Laboratorio e della sue attività, si è posta dunque come soggetto territoriale attivo e propositivo, nell’ambito delle tematiche rigenerative, promuovendo lo studio congiunto, con la Pubblica Amministrazione e con gli altri stakeholders interessati, delle diverse tipologie di intervento in grado di supportare la vitalità dei centri storici, promuovendo e progettando azioni in grado di ricucire e valorizzare il legame tra commercio urbano e patrimonio storico, culturale e sociale del territorio. Con un incessante lavoro quotidiano, guidato dallo spirito di adattamento, necessario a dare risposte a tempi e dinamiche che cambiano repentinamente (si pensi a quanto accaduto negli ultimi 12 mesi con la variabile inaspettata della pandemia), si intendono individuare, congiuntamente con l’Amministrazione locale e gli interlocutori del territorio, gli strumenti in grado di salvaguardare le attività commerciali di vicinato, spesso insediate nei luoghi di maggior rilievo artistico, architettonico e culturale della città. È innegabile, infatti, che spesso nelle nostre città ci sia una coincidenza tra centro storico e centro commerciale naturale e, anzi, nel linguaggio comune, i due termini sono spesso utilizzati anche come sinonimi, a riprova – se mai ce ne fosse bisogno – di un legame inscindibile.

Originariamente, commercio ed urbanistica erano, anche a livello normativo, due materie differenti: la Legge n.426 del 1971, infatti, prevedeva la subordinazione del Piano del Commercio al Piano Regolatore, imponendo di impostare la programmazione commerciale “nel rispetto delle previsioni urbanistiche” e introducendo una chiara subordinazione della pianificazione commerciale a quella territoriale. Con il D.lgs 114 del 1998 si iniziò a superare la rigida separazione tra tutela urbanistica e tutela commerciale, affidando alla Regioni il compito di “definire gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali” e stabilire i criteri di programmazione urbanistica inerenti il settore commerciale, superando così il precedente sistema dualistico (politiche urbanistiche vs politiche commerciali) per passare ad un sistema di tutela unitaria di due interessi che, come visto, sono legati storicamente da una profonda relazione e da una influenza reciproca. È così che si inizia a parlare di urbanistica commerciale, riflettendo sempre più sul ruolo fondamentale giocato dal commercio nei piani, nei progetti e nelle politiche di rigenerazione urbana. A partire dalla riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, poi, si sono sviluppati sempre più metodi diversi rispetto alla pianificazione urbanistica tradizionale, permettendo un sempre più forte approccio multidisciplinare al tema, dando via via sempre più rilevanza alla componente commercio. Oggi operiamo in un quadro normativo regionale in materia di urbanistica e commercio molto differenziato, con casi sempre più frequenti di integrazione tra le due materie, come quelli della scuola di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e quello, più recente, anche della Regione Piemonte, al quale come associazione di categoria stiamo lavorando attivamente, in partnership con i diversi Comuni della nostra provincia.

D. Potrebbe parlarmi dell’esperienza del primo progetto nato dal Laboratorio di Rigenerazione Urbana di Alessandria?

R. Il primo, e forse più rappresentativo anche a livello di immagine, progetto nato dal Laboratorio di Rigenerazione Urbana di Alessandria è stata la nascita del format di city management & entertainment “Aperto per Cultura”, diventato nel tempo anche un Brand registrato ed un progetto replicabile su diversi territori.

Aperto per Cultura è un format innovativo di city management & entertainment, pensato come una proposta moderna di valorizzazione dei centri storici cittadini al fine di creare una “comunità del fare”. Il progetto, nato dal partenariato pubblico-privato tra la nostra Confcommercio provinciale ed il Comune di Alessandria (e poi condiviso anche dalla Confcommercio di Siracusa e dalla rispettiva Amministrazione Comunale), nell’ambito del Laboratorio di Rigenerazione Urbana del territorio, si è sviluppato coniugando i più moderni concetti della rigenerazione urbana, della armonizzazione del tessuto cittadino e del riuso dei vuoti urbani insieme alla promozione della cultura tra musica, teatro ed enogastronomia d’eccellenza.

Una proposta di elevato profilo artistico, in grado di interpretare una città ed il suo centro storico in modo attrattivo, “valorizzando” i vuoti urbani e gli spazi inutilizzati con proposte culturali ed artistiche. È così che negozi sfitti, edifici pubblici e privati anche in disuso sono diventati palcoscenici per rappresentazioni teatrali e musicali, per letture d’autore, per mostre d’arte e fotografiche. Scuotere le coscienze delle persone per far crescere l’intera comunità è l’obiettivo cardine di Aperto per Cultura. È oggi un marchio registrato e gestito in partnership tra la Confcommercio di Alessandria e di Siracusa. Ogni giorno lo staff delle due realtà territoriali si sperimenta su nuovi progetti di rigenerazione, urbana ed umana, di innovazione e di riqualificazione del territorio, della comunità e del tessuto imprenditoriale, per la salvaguardia e la promozione dell’intero territorio delle città.

Sempre con l’obiettivo di contribuire attivamente, in un partenariato pubblico-privato non solo formale ma sostanziale, alla definizione di un quadro di politiche per la città che, mettendo al centro le economie urbane ed il tessuto commerciale possano prevedere l’attuazione a livello locale di strategie rigenerative che siano condivise con gli operatori e risultino efficaci, la nostra Associazione ha lavorato attivamente, tanto nel periodo pre-Covid, quanto se possibile ancor più in quello pandemico, alla creazione di progetti che potessero aprire realmente la strada ad una nuova stagione di rinascita urbana per la nostra città e di rinascita economica per le nostre attività.

Abbiamo lavorato con l’Amministrazione Comunale di Alessandria al Protocollo per il Green Design, siglato nell’ambito del Laboratorio di Rigenerazione Urbana alessandrino, che prevedeva la riqualificazione e rigenerazione e riqualificazione delle vie del centro storico, coincidenti con il centro commerciale naturale, attraverso l’utilizzo del “green” come decoro urbano e come tratto distintivo/identificativo delle vie stesse e della loro vocazione commerciale.

Il Protocollo tra Anci e Confcommercio nazionale, dopo la prima sottoscrizione del 2015, si è rinnovato nel 2019, fornendo anche ai Laboratori di Rigenerazione Urbana locale, come il nostro alessandrino, il quadro di riferimento generale per continuare ad operare con nuova e rinnovata energia.

D. Come ha inciso l’anno di pandemia sull’attività di rigenerazione?

R. L’anno di pandemia ha fatto emergere in modo forte la necessità di ideare nuove soluzioni rigenerative, per dare risposte alle domande poste dall’emergenza sanitaria: se la fase emergenziale è stata affrontata con la chiusura di molti spazi e con la limitazione del movimento, appare abbastanza certo, però, che la ripartenza e la costruzione della nuova normalità avverranno con lo spazio pubblico al centro di ogni progettualità e con una non più rallentabile transizione verso il digitale che ha subito una decisa accelerazione in tempi di pandemia e che lascerà in eredità l’abitudine ad un “servizio misto” (forme di acquisto tradizionali e digitali integrate), sulla quale occorre ragionare e lavorare per far sì che città, comunità ed imprese siano pronte a dare risposte.

Sarà necessario rivedere l’architettura degli spazi di vendita, di quelli di somministrazione e di quelli della socialità, così come il delivery su scala locale diventerà centrale, non scomparendo insieme al virus, ma al contrario, diventando uno dei punti fermi dello sviluppo gestionale delle comunità.

Il nostro impegno presente, nell’ambito della rigenerazione urbana, è dunque focalizzato alle riflessioni ed ai ragionamenti che pongono al centro lo spazio pubblico, come nodo di connessioni urbane e di relazioni commerciali e ad una gestione sempre più integrata, innovativa, condivisa e multidisciplinare dei tessuti urbani e commerciali.

In tal senso, una recentissima esperienza è quella che stiamo conducendo nell’ambito del Bando che la Regione Piemonte ha emanato in riferimento ai Distretti Urbani del Commercio.

Questo intervento regionale (approvato con la DGR 23 del 10 dicembre 2020) infatti, colloca il Piemonte fra le già citate esperienze di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, che danno alla distrettualità dei sistemi commerciali ed alla loro relazione con la rigenerazione urbana un ruolo centrale e primario.

D. La Regione Piemonte svolge, quindi, un ruolo importante a sostegno dei Distretti Urbani del Commercio?

R. Sicuramente. Con questo intervento, la Regione Piemonte, infatti, intende promuovere i distretti del commercio quali ambiti territoriali nei quali gli enti pubblici, i cittadini, le imprese e le formazioni sociali liberamente aggregati sono in grado di fare del commercio un fattore di innovazione, integrazione e valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio per accrescere l’attrattività, rigenerare il tessuto urbano e sostenere la competitività delle imprese commerciali, anche attraverso interventi integrati per lo sviluppo dell’ambiente urbano di riferimento. I Distretti del Commercio si configurano, quindi, quali strumenti innovativi per il presidio commerciale del territorio, il mantenimento dell’occupazione e la gestione di attività comuni finalizzate alla valorizzazione del commercio.

Il commercio al centro, dunque, delle politiche rigenerative della città. Il commercio quale fattore aggregante, identitario, sociale e culturale, certamente anche economico e occupazionale, ma non solo. Il commercio e la rigenerazione urbana che poi è, come detto all’inizio, “rigenerazione umana” al centro del cammino di territori e comunità per la ricostruzione e la ripartenza, anche – e forse soprattutto – nel prossimo periodo post-pandemico.

Il partenariato pubblico-privato, requisito essenziale – ad esempio – per poter partecipare al Bando della Regione Piemonte sui Distretti Urbani del Commercio (DUC), è la strada maestra per dar vita ad esperienze di rigenerazione “dal basso”, in grado di prevenire forme di “rigetto” territoriale e, soprattutto, di rispondere alle esigenze composite degli operatori, anche economici.

March 4th, 2021

D. Come è nata l’idea dei distretti culturali europei?

R. L’idea è nata a Napoli, alcuni anni fa, dopo una visita al complesso archeologico di Elea-Velia e di Paestum, in Cilento, basandosi su un modello di integrazione tra l’eredità della cultura classica, e il contesto territoriale e socio-ambientale. Il grande patrimonio storico non va lasciato soltanto alla curiosità del turista, spesso distratto, che vi raccoglie immagini con un effimero valore estetico e poi se ne va, o al solo interesse specialistico dello studioso. Occorre far sì che si sviluppi consapevolezza della presenza di queste realtà attraverso adeguate misure di interazione con le altre entità territoriali, economiche e ambientali e con le iniziative che possono sorgere dalla loro cooperazione.

Occorre potenziare una realtà territoriale e sociale presa nel suo complesso, facendola realtà socializzante, dialogante nella continuità culturale, capace di elevare il tono civile e di aprirsi all’esterno in maniera coerente e qualificata. Esistono già, per esempio, diversi siti naturali o monumentali o attività produttive, e valori territoriali riconosciuti dall’Unesco o da altre istituzioni pubbliche; sono tutte espressioni di fattori e qualità potenzialmente unificanti, che trascendono i rispettivi ambiti. La mia percezione del distretto culturale consiste proprio nel mettere a sistema dette diversità in un processo di complementarità, reciprocità sinergetiche, in maniera da costituire, nel loro complesso unitario, una realtà sociale in crescita e in possesso di propri e fondati valori. Il nostro comitato pensa a distretti con riconoscimento europeo, laddove si ravvisano delle caratteristiche altamente significative per il loro apporto alla multiforme cultura tipica dell’Europa. Nella prospettiva qui brevemente delineata, il progetto si presenta innovativo rispetto alle varie iniziative che sono in corso.

D. Finora cosa è stato fatto per la costituzione di un distretto culturale così concepito?

R. Per il lancio di questo specifico distretto culturale abbiamo costituito un “Comitato per la valorizzazione della cultura classica greca e latina, come patrimonio immateriale bene dell’umanità, e per la istituzione dei distretti culturali europei”, ora presieduto dal dr. Lucio Minervini, che ha avuto i suoi “stati generali” in un Convegno internazionale ospitato dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli il 3 e 4 maggio del 2019.

L’idea è stata raccolta innanzitutto dal territorio di Gorizia, grazie alla presenza in loco dell’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei (ICM), un’istituzione culturale particolarmente sensibile al dialogo tra est e ovest, nord e sud, mondo latino, slavo e tedesco, che ha subito intercettato le potenzialità dell’iniziativa ed ha cominciato a mettere in atto il progetto di unificazione di interessi culturali, contribuendo tra l’altro al sostegno della candidatura di Nova Gorica a capitale europea della cultura 2025. L’iniziativa intrapresa non è di matrice politica o a finalizzazione economica, ma è puramente culturale, radicandosi profondamente nell’ambiente, potenziandone le sinergie transnazionali. Si tratta di territori che hanno subito, dopo le due guerre mondiali, delle lacerazioni disastrose, con imposizione di confini assurdi, fino alla follia di attraversare persino appartamenti di abitazione privata e tombe dei cimiteri.

L’ipotizzato distretto occuperebbe ad est una parte della Slovenia, ad ovest e a sud un tratto del Friuli Venezia Giulia, a nord la zona centromeridionale della Carinzia. Un’area tipicamente mitteleuropea, quindi. Il substrato comune è l’antica civiltà di Aquileia, di fondazione romana, da cui è partita prima la romanizzazione verso i confini del Danubio e poi la diffusione del cristianesimo nel centro ed oriente continentali. Aquileia, infatti, costituisce l’elemento culturale originario, unificante territori che per secoli hanno avuto sempre una condivisione di sorti e di vicende che soltanto le terribili guerre e gli assurdi confini che poi ne sono venuti hanno frammentato. I due elementi costitutivi fondamentali sono, dunque, la civiltà aquileiese e la caratteristica di essere unico punto territoriale in cui si incontrano il mondo italiano (e friulano), il mondo germanico e il mondo slavo.

D. È già operativo questo distretto culturale?

R. Non ancora. Il distretto è stato delineato ed è allo studio, ma non è ancora operativo.

Abbiamo poi avviato rapporti con il territorio del Sud.

Un’idea importante, centrale – lo dico tra parentesi perché non riguarda direttamente i distretti culturali, ma i distretti possono dare una forte collaborazione nel merito – è che tutta l’area mediterranea, che è la matrice della nostra cultura, della nostra civiltà, è un’area dotata di una forte complementarità proprio con l’area mitteleuropea, là dove si spegne la cosiddetta mezzaluna celtica e si incrociano quelle culture, germanica, slava, latina, greca, illirica, ugro-finnica, che, messe insieme, hanno formato l’Europa e la cultura europea. Diciamo molto di più: sono alla base di tutta la cultura occidentale.

Possiamo notare come questo asse Mitteleuropa-Mediterraneo, che congiunge nord-sud e est-ovest, comprende territori e popoli con precise identità culturali che hanno posto lo basi della civiltà europea e che ora sono alquanto ‘periferizzati’ dalle logiche dominanti nella politica internazionale.

Oggi se pensiamo a quell’asse, l’Italia, per posizione geografica oltre che storica, è un naturale ponte di collegamento tra il Mediterraneo e la Mitteleuropa.

Abbiamo avviato, poi, con la Sicilia un primo contatto per individuare un distretto culturale siciliano legato alle città di fondazione greca, le prime che costituiscono l’ossatura della Magna Grecia, che sorgerà lungo le coste continentali e punto di partenza della civiltà del territorio e non soltanto, come ben sappiamo. Da questo punto di vista si è presa in considerazione la zona di Naxos e di Siracusa.

Un altro ambito su cui lavoriamo è proprio legato alla Campania. Immagino la ricaduta della valorizzazione in chiave sociale dell’immenso patrimonio storico e culturale presente sul territorio proprio per poter riflettere sulla possibilità di costruire una realtà distrettuale capace di dinamizzare queste risorse e sviluppare un senso trasversale di appartenenza ad un ambiente e ad una storia. In tal caso, le ‘tappe’ del progetto sono state individuate in Velia-Paestum e Cuma.

D. Lo stadio progettuale attuale è, quindi, volto alla creazione di una catena di distretti culturali che attraversano l’Italia, quasi un ponte di comunicazione culturale che unisce la Grecia al centro Europa. Ha parlato di Cuma e della Campania, si prevedono delle azioni specifiche di intervento in questo contesto territoriale?

R. Non c’è alcun dubbio sul ruolo geostrategico dell’area italiana presa nel suo complesso. Questo, naturalmente, deve dipendere dalla risposta del territorio, perché non ha senso parlarne astrattamente a tavolino, se non c’è la diretta iniziativa degli operatori e delle istituzioni locali. Tuttavia, da un punto di vista generale, credo che il problema possa anche interessare il CNR. Si è pensato, infatti, di avviare una ricerca multidisciplinare sulle caratteristiche del distretto culturale, in particolare sui territori individuati, e il CNR è in grado di fornire una pluralità di competenze convergenti al riguardo.

Questa ricerca multidisciplinare dovrebbe affrontare l’analisi dal punto di vista economico, sociale, storico, artistico e culturale in senso ampio e avrebbe due obiettivi e due punti di riferimento: un primo aspetto riguarda i principi generali che possono valorizzare il distretto in quanto tale, l’individuazione dei parametri che lo possono qualificare, degli elementi che vanno concretamente presi in considerazione, quindi, più metodologico, e un aspetto invece più particolare e circostanziale che fa riferimento alla realtà specifica di ogni singolo distretto e noi potremmo cominciare a porre sotto questo secondo aspetto lo studio della situazione della Campania, della Sicilia e del distretto goriziano.

D. Quali enti o quali istituzioni sono stati finora coinvolti in questa iniziativa?

R. Tempo fa, abbiamo organizzato un convegno a Napoli in cui c’è stata la partecipazione significativa di diverse istituzioni con cui siamo in contatto. Attualmente abbiamo avviato nuovi contatti con Regioni, associazioni locali e università.

Oltre all’iniziativa goriziana, che è la più avanzata, le prime risposte sono arrivate dalla Sicilia – che ha coinvolto il municipio di Siracusa e di Naxos – con l’interessamento dell’assessorato ai Beni culturali e dell’Identità siciliana della Regione Sicilia e dall’ICM.

Per la proposta di ricerca sono in atto contatti con varie università, tra cui l’Università di Pavia che ha già dato la sua disponibilità tramite il suo Centro di studio di Simbolica giuridica e il prof. Giovanni Cordini che dirige il Centro di ricerca Interdipartimentale sulla Partecipazione Sociale nella Gestione del Territorio e con studiosi in diritto del territorio e dell’ambiente.

D. Come ritiene possibile una cooperazione tra un ente di ricerca e il distretto culturale al fine della promozione dell’iniziativa?

R. Credo che questa proposta di sviluppare una ricerca interdisciplinare sulla natura e le caratteristiche di un distretto culturale di rilevanza europea rientri perfettamente negli scopi di un ente dedito alla ricerca. È una ricerca con scopi profondamente innovativi e ritengo che sia per il CNR un campo in cui può intervenire in maniera decisiva, perché rientra anche nella sua funzione di favorire il monitoraggio e lo sviluppo delle complessità degli ambienti territoriali.

March 4th, 2021

Il volume affronta il tema delle reti ferroviarie e delle numerose questioni poste in campo dalla ricerca scientifica in tale ambito alle diverse scale di intervento.

In particolare, il contributo di Stefania Oppido, tecnologo del CNR-IRISS, approfondisce la questione del riuso delle reti infrastrutturali dismesse o sottoutilizzate in territori lontani dai principali centri urbani, come i piccoli borghi e le aree interne italiane, che subiscono processi di marginalizzazione, caratterizzati da riduzione delle attività economiche e dei servizi e da bassi livelli di accessibilità. Riuso del capitale territoriale abbandonato e miglioramento dell’accessibilità sono, infatti, temi chiave della Strategia Nazionale Italiana per le Aree Interne.

La valorizzazione di reti infrastrutturali in stato di abbandono, dismesse o inutilizzate, interpretato come driver di sviluppo nell’ambito di strategie istituzionali in molti Paesi europei, rappresenta un interessante campo di approfondimento per il dibattito scientifico e culturale in tema di rigenerazione territoriale place-based. In ambito internazionale, sono numerosi, ad esempio, i casi nei quali il riuso di ferrovie dismesse rappresenta un’opportunità per valorizzare l’infrastruttura – in termini di valore storico e patrimonio ingegneristico – ma anche il capitale territoriale dei luoghi attraversati, che l’infrastruttura può contribuire a collegare o ricollegare in un approccio sistemico. I dati evidenziano un crescente successo di iniziative turistiche in cui il treno non rappresenta solo un veicolo per viaggiare, ma una vera e propria destinazione ed esperienza turistica.

In Italia sono state avviate iniziative sia bottom-up, promosse da attori socio-economici e culturali, sia istituzionali, talvolta basate sulla collaborazione reciproca anche grazie all’attività di reti come l’Alleanza per la Mobilità Dolce (A.Mo.Do.) il cui obiettivo è promuovere sinergie tra attori a livello locale e nazionale. Tuttavia, l’offerta è ancora frammentata, caratterizzata da una pianificazione limitata e molti casi sono in una fase sperimentale, alla quale dovrebbe seguire una strategia complessiva ed integrata, supportata da adeguati servizi di ospitalità, intermodalità e infrastrutture.

Iniziative bottom-up caratterizzano anche l’esperienza della ferrovia Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, linea storica della Regione Campania, che collega la città di Avellino con l’area interna dell’Alta Irpinia, caso studio nell’ambito del progetto di ricerca “Disequilibri territoriali e processi di marginalizzazione. Il paesaggio come driver di rigenerazione place-based per aree interne e borghi” in corso presso il CNR-IRISS (Responsabile Scientifico Stefania Oppido). La ricerca assume la condivisione degli obiettivi con gli attori locali come valore per la realizzazione di un processo di rigenerazione place-based, basato sulle relazioni tra persone, luoghi e risorse territoriali. In questa prospettiva, il treno turistico può rappresentare un elemento di riconnessione delle reti fisiche del territorio – infrastrutturali, insediative, produttive, ambientali – con le reti immateriali e le reti sociali.

Le esperienze nazionali e internazionali di riuso a scopi turistico-ricreativi di linee ferroviarie, ad oggi in fasi diverse della loro realizzazione ed in contesti diversi, consentono alcune riflessioni sui fattori di successo e sugli elementi che, al contrario, possono rappresentare criticità. Pur considerando differenze connesse al contesto politico ed economico, nonché al regime di proprietà e di gestione ed agli impegni economici necessari, tali riflessioni potranno supportare le attività in corso relative al caso dell’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio e dell’area interna attraversata. In particolare, si evidenzia che alcune delle condizioni in grado di favorire il successo di iniziative di riuso di linee ferroviarie sono riconducibili alla capacità di ri-connessione con il sistema territoriale, ri-connessione che può essere declinata in riferimento al sottosistema fisico e al sottosistema economico, culturale e sociale.

March 4th, 2021

Il corso di formazione si colloca nell’ambito del progetto europeo “Civic eState – pooling urban commons”, uno dei 25 “Transfer Networks” approvati dal Programma di Cooperazione Territoriale URBACT III 2014-2020, promosso dalla Commissione Europea. L’ente formatore è la Scuola di Fundraising di Roma. Hanno aderito a questa rete, oltre alla Città di Napoli che ne è capofila, le città di Barcellona (Spagna), Danzica (Polonia), Ghent (Belgio), Amsterdam (Paesi Bassi), Prešov (Slovacchia) e Iași (Romania). Tramite questo progetto, la Città di Napoli si è proposta di trasferire a queste città, riadattandolo secondo il contesto, il modello di governance dei beni comuni nella forma degli usi civici collettivi urbani. Ulteriore obiettivo del progetto è stato realizzare una serie di azioni integrate, co-progettate nell’ambito di un processo partecipativo, che mirano a consolidare l’esperienza napoletana di pratica dei beni comuni.

Il programma è stato articolato in 4 incontri (11 e 12 febbraio, 18 e 19 febbraio) della durata di 4 ore ciascuno, in cui sono stati approfonditi i seguenti temi: “Introduzione al fundraising”, “Ideare e progettare una strategia di fundraising”, “La raccolta di fondi da individui” e “La raccolta fondi da aziende e fondazioni”.

March 4th, 2021

Il 12 febbraio 2021 dopo circa otto mesi di negoziazioni, il Governo tedesco ha annunciato di aver raggiunto un accordo sull’adozione di una legislazione che obbligherà le imprese tedesche a rispettare i diritti umani e le norme ambientali lungo le loro catene di fornitura globali. La legge sulla due diligence nelle supply chain(Lieferkettengesetz) dovrebbe essere approvata prima delle elezioni dell’autunno 2021, per entrare in vigore all’inizio del 2023: essa sarà quindi una delle prime normative adottate in Europa a fissare l’obbligo di due diligence in materia di diritti umani e di ambiente applicabile alle catene di fornitura dopo la pioneristica legislazione francese del 2017 (la Loi relative au devoir de vigilance des sociétés mères et des entreprises donneuses d’ordre, del 27 marzo 2017).

Sebbene una bozza integrale della normativa non è ancora stata resa pubblica, la nuova legislazione introdurrà un obbligo di vigilanza in materia di diritti umani, a partire dal 1° gennaio 2023 per le aziende che impiegano in Germania più di 3.000 dipendenti e che riguarderà quindi circa 600 aziende. A partire dal 1° gennaio 2024 l’ambito di applicazione verrà esteso per includere anche le aziende con più di 1.000 dipendenti in Germania, che ammontano a circa 3.000. Insomma, a pieno regime l’istituenda normativa tedesca avrà un ambito di applicazione ratione personae molto più ampio di quello della normativa francese del 2017. Lo scopo della normativa e dell’obbligo di due diligence da essa introdotto è quello di proteggere i diritti umani contenuti nei trattati internazionali sui diritti umani (in particolare nella c.d. International Bill of Human Rights) e nelle otto Convenzioni fondamentali del lavoro adottate nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

La legislazione tedesca incorporerà, ovviamente, le disposizioni dei Principi Guida ONU su imprese e diritti umani nonché quelle contenute nelle Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali rendendole in questo modo parte del diritto interno tedesco. In particolare, il contenuto dell’obbligo di due diligence sarà strettamente allineato alle disposizioni dei Principi Guida ONU e a quanto previsto nel Piano d’azione nazionale tedesco del 2016. In sintesi alle imprese sarà richiesto di:

a) pubblicare una dichiarazione sul rispetto dei diritti umani; b) eseguire regolarmente un’analisi dei rischi (che include anche le catene di fornitura); c) implementare le necessarie misure preventive e di mitigazione dei rischi; d) documentare i processi posti in essere.

I subappaltatori in altri paesi dovranno rispettare gli stessi standard.

Di particolare importanza l’esplicita applicazione dell’obbligo di vigilanza lungo le catene di approvvigionamento. L’obbligo in effetti dovrebbe riguardare l’intera filiera dalla materia prima al prodotto finale e dovrebbe includere anche i servizi. L’ambito di applicazione dell’obbligo di due diligence è stato uno dei principali elementi di discussione all’interno del governo tedesco, con due posizioni prevalenti: da un lato i fautori di un sistema di due diligence limitato solo al primo livello della catena (c.d. first tier); dall’altro lato invece coloro che, temendo un facile aggiramento delle responsabilità da parte delle imprese attraverso la riprogettazione delle loro relazioni contrattuali con i subfornitori, hanno sostenuto la necessità dell’allargamento dell’obbligo di vigilanza ai livelli ulteriori della catena. La soluzione conclusiva rappresenta un compromesso tra queste istanze. Ciascuna impresa dovrà: 1) includere sempre nei suoi processi di due diligence sui diritti umani tutte le sue operazioni economiche e quelle dei suoi fornitori diretti, cioè quei fornitori con cui essa ha relazioni contrattuali formali; 2) esercitare la due diligence sul resto della catena di fornitura quando ciò sia richiesto dalle “circostanze del caso concreto”. Occorrerà attendere la formulazione finale della bozza di legge per capire in dettaglio come funzionerà questo secondo meccanismo. Sulla base delle notizie giunte finora, sembra che i requisiti sostanziali di questa seconda fattispecie che solleciteranno il dovere vigilanza saranno: (a) l’esistenza di reclami provenienti dalle vittime di violazioni dei diritti umani, e (b) l’esistenza di peculiari situazioni di rischio per l’attività dell’impresa, come l’impiego di particolari materie prime o l’approvvigionamento da fornitori situati in specifiche regioni geografiche.

Ai sensi della normativa tedesca le imprese dovranno depositare le proprie analisi dei rischi presso un apposito ufficio dell’Agenzia federale tedesca per il controllo delle esportazioni. L’Agenzia potrà richiedere l’accesso alla documentazione rilevante e avrà il diritto di accedere ai locali delle imprese, raccogliere prove ed emettere multe, in caso di mancata ottemperanza, per un importo fino al 10% del fatturato annuale dell’impresa. Il Governo potrà reinvestire gli importi delle multe per attività connesse al processo di responsabilizzazione delle imprese sui diritti umani (finanziare ad es. un fondo di indennizzo per le vittime). A differenza del modello francese, la legge non dovrebbe prevedere la possibilità per le vittime di agire in giudizio direttamente ai fini del risarcimento del danno in caso di violazioni dell’obbligo di vigilanza che abbiano loro generato dei danni. Sarà prevista, invece, l’esclusione dagli appalti pubblici per un massimo di tre anni delle imprese non ottemperanti.

Quando sarà adottata, la legislazione tedesca rappresenterà, insomma, un ulteriore tassello nel processo di responsabilizzazione delle imprese europee in materia di diritti umani. Essa in effetti va ad aggiungersi al processo, avviato anche nell’Unione europea, su di una legislazione europea sull’obbligo di due diligence in materia di diritti umani, e rappresenterà un modello cui guardare per l’elaborazione di legislazioni analoghe in altri paesi UE, inclusa l’Italia.

March 4th, 2021

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