Rosa Maria Giusto, Assegnista di ricerca del CNR-IRISS, intervista Alessandro Castagnaro sul Complesso della Mostra d’Oltremare.
Alessandro Castagnaro, Professore Ordinario di Storia dell’Architettura presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II – Dipartimento di Architettura e Associato CNR-IRISS.
D.: Nel poderoso volume La Mostra d’Oltremare a Napoli. Ricerche storiche e restauro del moderno, curato con Aldo Aveta e Fabio Mangone, docenti del DiARC, viene illustrato il ruolo che la Mostra ebbe sin dall’inizio rispetto al territorio circostante “non solo in riferimento al quartiere Fuorigrotta, in cui ricade, ma anche a Bagnoli e all’intera area flegrea, come dimostrano i legami con le preesistenze”. A quali preesistenze fa riferimento?
R.: Penso alle Terme di Agnano, il più grande complesso italiano che sorge su antiche vestigia romane, opera del 1909 di Giulio Ulisse Arata, ma anche all’Ippodromo di Agnano, opera di Vetti Violi, architetto specializzato nella costruzione dei più importanti Ippodromi, o al Collegio Costanzo Ciano, di Francesco Silvestri, (in seguito divenuto Base Nato 1954-2012) che nasce assieme al complesso della Mostra e alla prima architettura di Carlo Cocchia, la Scuola di Equitazione.
D.: Quale rapporto intercorre tra il complesso della Mostra d’Oltremare e il disegno complessivo della città?
R.: Il complesso della Mostra non può essere affrontato senza considerare il Piano Regolatore Generale del 1936 – ’39 redatto dalla Commissione presieduta da Luigi Piccinato. Prima di allora Fuorigrotta era un Rione denominato Castellana, fu proprio il piano a estenderne programmaticamente i confini verso ovest, attrezzando un’intera area che, dall’uscita della galleria, sarebbe giunta fino alla piana di Bagnoli, altro luogo che lamenta oggi l’esigenza di interventi di rigenerazione urbana.
Si pensi alle residenze che sorgono in quegli anni nel quartiere Fuorigrotta, o agli impianti sportivi che caratterizzano le trasformazioni successive con lo Sferisterio progettato da Franco Tortorelli, la Piscina scoperta (1940) o la già menzionata Scuola di Equitazione (1939), tutte opere che ne contraddistinguono e segnano lo sviluppo.
D.: Quale importanza riveste il complesso della Mostra d’Oltremare rispetto al tema dell’Architettura Moderna?
R.: Il complesso della Mostra, con i suoi 36 edifici disposti su un terreno di ca. 1.000.000 di mq fu concepito per la parte urbana da Marcello Canino ma alla sua composizione parteciparono alcuni dei più rinomati architetti del momento. Se è vero, infatti, che il linguaggio che caratterizza la maggior parte delle opere esprime il monumentalismo tipico dell’architettura degli anni Trenta è altrettanto vero che accanto a quelle opere connotate da un marcato simbolismo se ne aggiunsero altre considerate autentici episodi di ‘modernità’, come testimoniano le opere di Carlo Cocchia e Giulio De Luca o gli interventi degli architetti più giovani, allievi della Facoltà di Architettura di Napoli che collaborarono numerosi agli interventi di restauro e nuove realizzazioni in atto. In quegli anni, infatti, la Mostra divenne terreno fertile per la sperimentazione di nuovi linguaggi, come dimostra la realizzazione di edifici e soluzioni ascrivibili all’architettura “razional-funzionalista” tra queste citiamo la Funivia e l’Arena Flegrea di Giulio De Luca, il Ristorante con Piscina, le Serre Botaniche (demolite nel 1984) e l’Acquario Tropicale di Carlo Cocchia, per restare ai più noti.
D.: Ha citato la Facoltà di Architettura dell’Università Federico II, quale ruolo ebbe nella realizzazione della Mostra d’Oltremare?
R.: Il ruolo che assunse la Facoltà di Architettura – nata nel 1928 e ‘ufficializzata’ nel 1935-, fu quello di una vera e propria palestra esercitativa per i giovani allievi che furono coinvolti nei lavori della Mostra e che, sia pure impegnati su edifici e temi considerati ‘minori’, seppero imprimere una accelerazione significativa all’architettura di quegli anni utilizzando al meglio le occasioni progettuali loro offerte dall’immenso ‘cantiere’ della Mostra.
D.: Qual è stata la ‘fortuna’ della Mostra d’Oltremare rispetto alle coeve esperienze del panorama architettonico italiano?
R.: Concepita pressoché negli stessi anni in cui vennero realizzati il quartiere espositivo dell’Eur a Roma o il progetto delle Sette Città di Fondazione connesse ai lavori conseguenti alla bonifica pontina – tutti interventi assai noti e studiati-, la Mostra d’Oltremare non è mai decollata a livello nazionale per conoscenza e diffusione al pari delle altre realtà architettoniche. Eppure, diversamente da molti di quegli esempi declinati prevalentemente in chiave di “retorica littoria”, la Mostra si contraddistinse per una maggiore apertura ai temi del moderno e ad un interessante rapporto tra artificio e verde.
D.: Potrebbe illustrare la genesi del progetto multidisciplinare di costruzione del sistema di conoscenza documentato nel volume?
R.: Il volume raccoglie l’esito di un progetto multidisciplinare e multi scalare di ricerca avviato nel 2012 a seguito della convenzione siglata tra il direttore del Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro dell’Università Federico II – Professore Benedetto Gravagnuolo – e la Mostra d’Oltremare e proseguito negli anni da 45 studiosi delle discipline della Storia dell’architettura e del Restauro, del Disegno, del Progetto etc., appartenenti prevalentemente all’Ateneo federiciano con la partecipazione di docenti dell’Università Suor Orsola Benincasa e dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ed è pertanto il frutto di una esemplare sinergia tra alcuni dei maggiori poli universitari campani.
D.: Alla luce delle ricerche condotte, quali sono le vocazioni future auspicabili per una effettiva rigenerazione funzionale della Mostra d’Oltremare?
R.: Le condizioni attuali di degrado e di abbandono nelle quali versa il complesso della Mostra, che ha perso l’opportunità del finanziamento europeo e il riconoscimento nella lista dei patrimoni Unesco, richiedono nuove visioni strategiche.
Essendo baricentrica rispetto al quartiere occidentale, la Mostra potrebbe rappresentare realmente un volano per la rigenerazione dell’intero quartiere, da destinare non, come avvenuto nel 1938-’40, a funzioni esclusivamente espositive, né a Fiera della casa (dal 1952), ma quale complesso multifunzionale di cui potranno essere rimesse in funzione alcune architetture per ciò che erano, penso alla chiesa progettata da Roberto Pane o alle architetture per lo sport e lo spettacolo, destinando gli spazi verdi contrassegnati dal superbo sistema scenografico ed evocativo delle fontane a parco cittadino per la cura dello sport e il tempo libero.
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