Lo studio fornisce un contributo all’analisi delle comunità informali e del loro contributo all’economia della città attraverso una lettura aggiornata degli argomenti alla base dell’incentive question ed una possibile applicazione degli stessi ad un caso empirico.
Comunità che bloccano, potenziano o che riconoscono l’azione individuale. Dal Valore-Utilità al Valore-Identità per una nuova microeconomia di comunità.
Con il termine Comunità si usa, in genere, riferirsi a diverse forme di vita associativa, dalle primordiali aggregazioni sociali, che sorgevano attorno a tratti caratteristici, usi e culture di un certo territorio, fino ai casi di condivisione via web di pratiche e conoscenze acquisite o anche di interessi specifici. Elementi di distinzione, tra i più ricorrenti nella letteratura contemporanea, si rifanno, quindi, alla natura dei legami che intercorrono tra le persone che ne prendono parte. Legami diretti o indiretti, incluso quelli uni o bi-direzionali, ovvero che descrivono flussi di comunicazione che vadano unicamente da un soggetto ad un altro oppure che attendano ad una risposta, un feedback per indirizzare una decisione partecipata. Ne risulta, quindi, possibile l’immediata associazione al concetto di rete, laddove ciò che conta non è solo il numero dei nodi e la natura dei legami, dato comunque utile a visualizzarne la morfologia, ma anche se ci siano dei patti, degli accordi, pregressi, che ne stabiliscano modalità di gestione e di condotta, laddove una delle condizioni fondanti sta nel definire le regole di accesso. Ad ogni modo, si tratterà di legami sempre escludibili tra loro. E ciò per dire che qualsiasi comunità, per quanto ‘aperta’ richiede l’assunzione di un costo all’accesso, sia esso espresso in termini pecuniari o solo emozionali o cognitivi (Farole, Rodriquez-Pose, Storper, 2011).
La microeconomia di comunità, tradizionalmente, focalizza l’attenzione all’analisi delle dinamiche alla base della scelta di adesione del singolo al gruppo. Con ciò, ha generato categorie diverse di Comunità a seconda che le si considerasse di natura associativa (à la Putnam) o basate su specifici interessi e convenienze (à la Olson). Infatti, si attribuivano al termine Comunità accezioni positive, derivanti, appunto, dall’idea che i legami sociali, basati sulla fiducia, avessero effetti positivi sulla società e sullo sviluppo economico o, al contrario, negative, o anche ostacolanti, limitanti la crescita dell’economia. In quest’ultima situazione, si argomentano i diversi motivi per i quali la vita collettiva frustri il soddisfacimento delle preferenze individuali. Per esempio, perché è impossibile aggregare i pareri dei singoli individui; o anche perché è inevitabile che la leadership incorra in problemi di rappresentatività (principale-agente); o, ancora, perché i gruppi creano dinamiche di tipo insider-outsider, che impediscono la mobilità dei fattori produttivi che è necessaria alla crescita economica di lungo periodo. In quest’ambito, va inserito tra gli altri, l’importante contributo di Olson, (1965), che sosterrà che tutte le aggregazioni sociali, partendo da quelle informali e fino ai gruppi organizzati, sono affette da vizi di ricerca della convenienza (rent-seeking), che limitano la crescita.
Le teorie di stampo behaviorista, più di recente, giungono ad evidenziare per le comunità un ruolo positivo ovvero di meccanismo di potenziamento dell’azione individuale. L’analisi, in quest’ambito, è costruita su ipotesi di partenza diverse ove l’idea che il singolo individuo pensi unicamente a massimizzare la propria utilità viene sostituita con la considerazione che lo stesso, invece, dia maggior peso alla costruzione-affermazione della propria identità. Così, uno dei maggiori vantaggi derivanti dall’azione di comunità è legato alla possibilità di innescare processi di emersione delle preferenze. In particolare, l’effetto – si dice – possa scaturire dalla possibilità di aderire ‘liberamente’ ovvero di scegliere, di optare per la partecipazione in specifici processi. Ciò rende l’attore più consapevole di ciò che egli stesso effettivamente desidera. Quando conosciamo le nostre preferenze, siamo anche disposti a mobilitare tutti i nostri sforzi per cercare di soddisfarle. Ciò favorisce la crescita e l’efficienza (cfr. Bowles, 1998). Questa opinione, è facile immaginare, sarà alla base di ulteriori interessanti implicazioni in materia di costi di coordinamento.
Inoltre, alla tradizionale convinzione che pone in conflitto la scoperta delle proprie preferenze con l’appartenenza ad una comunità, questi autori oppongono la convinzione che il conflitto stesso possa ritenersi superato allorquando le preferenze siano intrinsecamente correlate tra loro (cfr. Alesina, Fuchs-Schündeln, 2007). Non a caso, il principale collante che tiene insieme queste aggregazioni sociali, rappresentato dalla forte prossimità motivazionale tra gli attori, è, allo stesso tempo, l’elemento che ne consente la libera adesione. Le comunità di questo genere sono anche spazi di sperimentazione, che facilitano le relazioni sociali attraverso attività laboratoriali aperte ad accogliere l’errore (Vittoria, Napolitano, 2017). Per quanto sia utile fare ulteriori categorizzazioni del concetto di Comunità, diversi autori hanno proposto e discusso la nozione di Epistemic Communities, in quanto attori capaci di performare un learning esplorativo (Haas, 1992; Cowan, David, Foray, 2000; Cohendet, 2005). In quest’ambito, trova spazio la ricerca su come i leader e i gruppi riescono a formare le loro opinioni e punti di vista sul cambiamento economico (Storper et al., 2015).
Ad un livello più operativo, ovvero dell’azione tesa a perseguire le proprie preferenze, le comunità facilitano la traduzione delle idee in processi di produzione.
Sempre a tale livello, ovvero quello dell’agire, le comunità sono state viste come ambiti di mediazione di scambi interpersonali. Questo tipo di attività incrocia sovente l’opportunità di ridurre i costi. In particolare, quei costi che si sostengono per l’acquisizione delle informazioni, così come per garantire dell’affidabilità delle informazioni stesse. L’adesione alle comunità, quindi, può assistere a queste forme di transazione, attraverso l’effetto reputazione, la capacità di una comunicazione immediata e sintetica (signalling), oppure quella di indirizzare e filtrare flussi informativi. Infine, l’azione di comunità può essere anche facilitata allorché la comunità stessa sia capace di effettuare scambi di conoscenze e informazioni attraverso il web. In questi casi, si verifica di frequente ciò che Granovetter (1973) chiamò ‘la forza dei legami deboli’.
Infine ci sarebbe il passaggio finale, ovvero quello che, seguendo le fasi del riconoscimento di sé e delle proprie preferenze, poi quello del metterle insieme e di favorirne la composizione di scelte-azioni collettive, corrisponderebbe all’ottenimento dei risultati in tali contesti. Naturalmente, qualsiasi contributo all’efficienza economica scaturente dalla possibilità di aiutare gli individui a scoprire le loro preferenze, andrebbe poi bilanciato con i costi per l’assunzione delle scelte conseguenti. Si tratta quindi dei costi che, la dottrina indica, possono derivare dalle dinamiche principale-agente. Laddove i principals sono costretti a combinare, aggregare le loro preferenze con quelle degli altri, a loro volta possibilmente diverse, e trovare un agente che le rappresenti. La letteratura offre diverse ipotesi per l’analisi, connesse per esempio all’ampiezza dei gruppi, ma anche alla natura delle preferenze. Qui, inoltre, si contende la necessità di estendere le ricerche per sapere di più su quali tipologie di preferenze si tratti, e sulla loro soglia minima necessaria per l’aggregazione.
Infine, segnaliamo che ulteriore attenzione è rivolta in dottrina al fatto che l’adesione ad una comunità può, inoltre, facilitare l’espressione delle preferenze anche attraverso la capacità intrinseca di dar loro voce (cfr. Sen, 2004; Appiah, 2011).
Risorse