L’11 settembre 2020 il Parlamento europeo, ha reso pubblico il progetto di Direttiva su Corporate Due Diligence and Corporate Accountability. Il progetto rappresenta un passo in avanti verso una legislazione vincolante Europea in materia di tutela dei diritti umani nell’ambito delle operazioni di business del settore privato.
Il 29 aprile 2020, nell’ambito di un ‘high level meeting’ del Gruppo di lavoro del Parlamento europeo su Responsible Business Conduct, il Commissario europeo della Giustizia, Didier Reynders, ha annunciato l’avvio di un’iniziativa da parte della Commissione europea destinata ad introdurre una legislazione ad hoc in materia di obblighi di due diligence in materia di diritti umani per le aziende europee.
L’azione della Commissione europea evidenzia la necessità di una legislazione vincolante a livello europeo e che contribuisca ad assicurare l’accesso effettivo ai rimedi per le vittime, individui, comunità ecc., e renda effettiva la responsabilità per le violazioni dei diritti umani che avvengono nell’ambito delle attività delle imprese. La proposta, che si basa su una serie di strumenti internazionali, in particolare i Principi guida ONU su imprese e diritti umani del 2011 e le linee guida dell’OCSE su due diligence e condotta d’impresa responsabile del 2018, parte dalla constatazione del fallimento delle tradizionali misure volontarie, che non sono riuscite a cambiare significativamente il modo in cui le imprese gestiscono il loro impatto sociale, ambientale e non sono state in grado di fornire alcun adeguato rimedio all’impatto negativo sui diritti umani derivante dalle loro attività di business.
Una bozza di strumento legislativo è stata preparata dal Rapporteur del Comitato Affari Legali del Parlamento europeo, l’eurodeputata Lara Wolters, e resa pubblica l’11 settembre 2020 (v. Progetto di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio su Corporate Due Diligence and Corporate Accountability).
La bozza evidenzia le difficoltà che sussistono nel conciliare la molteplicità di interessi in gioco e come sia importante trovare il giusto livello di regolamentazione per ogni impresa e fattispecie. Uno dei punti più problematici, in effetti, è che la futura normativa, infatti, non dovrà essere troppo debole perché altrimenti correrebbe il rischio essere inefficace dal punto di vista della protezione dei diritti umani, ma neanche troppo rigida perché altrimenti potrebbe comportare il ritiro delle imprese da determinati mercati, provocando altre tipologie di conseguenze negative di tipo economico e sociale.
Allo stato attuale, la forma giuridica prescelta per il futuro strumento legislativo, è quello di una direttiva. Ciò comporta, a differenza dall’adozione di un regolamento, una armonizzazione minima a livello europeo in tema di due diligence e diritti umani da parte delle imprese, e cioè la definizione di obiettivi che tutti i Paesi UE devono realizzare, lasciando poi agli Stati membri, e al loro margine di discrezionalità, l’individuazione delle modalità più opportune per raggiungere gli obiettivi della direttiva.
Per quanto riguarda il campo di applicazione, definito all’articolo 2 del progetto di direttiva, essa dovrebbe applicarsi a tutte le imprese soggette al diritto di uno Stato membro o stabilite nel territorio dell’UE e, inoltre, alle imprese soggette al diritto di uno Stato non membro e a quelle imprese non stabilite nel territorio dell’UE, ma che operino nel mercato interno europeo. La disposizione riflette evidentemente la volontà che qualsiasi futura normativa UE in materia di due diligence riguardi tutti i tipi di imprese, comprese quelle che forniscono prodotti e servizi finanziari, indipendentemente dalle loro dimensioni, dal settore o dall’attività, e indipendentemente dal fatto che esse siano di proprietà pubblica o controllate (cfr. il considerando 5). La bozza, tuttavia, non definisce la nozione di “impresa” (nel testo ‘undertakings’), lasciando quindi tale definizione al margine di apprezzamento degli Stati membri, con il rischio di compromettere gli obiettivi di armonizzazione e di certezza del diritto. È altresì interessante il fatto che la bozza di direttiva faccia riferimento alla catena del valore (la cd. ‘value chain’) anziché alla catena di fornitura (la cd. ‘supply chain’) di un’impresa con la conseguenza di estendere l’applicazione delle sue disposizioni ad un gruppo di imprese più ampio di quello che sarebbe interessato dalla nozione di catena di fornitura.
La disposizione chiave della bozza di direttiva è ovviamente l’art. 4 che introduce l’obbligo per gli Stati membri di adottare norme necessarie ad assicurare che le imprese pongano in essere processi di due diligence previsti dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo. Tali obblighi includono l’individuazione e la valutazione di qualsiasi rischio relativo ai diritti umani e l’ambiente: a tal fine l’art. 3 definisce il ‘rischio’ come l’impatto negativo sui diritti umani, potenziale o effettivo su individui, gruppi di individui e altre organizzazioni. Se l’impresa identifica dei rischi, essa è tenuta a stabilire una strategia di due diligence volta a: definire i rischi individuati e il loro livello di gravità e di urgenza; divulgare pubblicamente le informazioni dettagliate relative alla catena del valore dell’impresa, compresi nomi, sedi e altre informazioni pertinenti riguardanti le filiali, i fornitori e i partner commerciali; indicare le misure per porre fine, prevenire o mitigare i rischi identificati; stabilire le priorità di azione nel caso in cui l’impresa non sia in grado di affrontare tutti i rischi simultaneamente; e specificare la metodologia utilizzata per la definizione della strategia di due diligence, comprese le informazioni sulle parti interessate consultate durante l’intero processo.
L’art. 9 della bozza di direttiva richiede che gli Stati stabiliscano i meccanismi di rimedio necessari per dare la possibilità a tutti i soggetti interessati di far valere eventuali violazioni dei diritti umani che avvengono nell’ambito delle operazioni economiche delle imprese. Tali meccanismi devono rispettare i requisiti fissati dal Principio 31 dei Principi Guida ONU. L’art. 19 disciplina le forme di responsabilità e sancisce che gli Stati fissino sanzioni effettive proporzionate e dissuasive nel caso di violazione delle norme nazionali di trasposizione della futura direttiva. Un aspetto importante riguarda il tema della responsabilità civile, rispetto al quale la bozza di direttiva non dice molto, limitandosi ad affermare all’art. 20, che un’impresa che abbia agito con la dovuta diligenza in conformità a tale direttiva, non esonera la stessa da qualsiasi responsabilità civile che possa incorrere in base al diritto nazionale.
In conclusione, la pubblicazione il progetto di direttiva segna un importante passo in avanti dell’azione Europea in materia di sviluppo sostenibile. Non mancano ovviamente alcune criticità. Il progetto di direttiva, ad esempio, non opera alcun riferimento alla responsabilità da collegamento diretto di cui al Principio 13 dei Principi Guida ONU, con la conseguenza di escludere verosimilmente dal suo ambito di applicazione e quindi dall’obbligo di due diligence le catene di fornitura e le violazioni dei diritti umani che avvengono a valle di tali catene. Va detto, ciononostante, che la bozza, che in quanto tale può senz’altro essere migliorata nel corso del processo legislativo, costituisce un primo segnale per le imprese che operano nell’Unione europea e che non hanno ancora attuato processi di due diligence in materia di diritti umani in conformità con i Principi Guida ONU, che ciò sarà loro richiesto in un futuro non troppo lontano e che, in caso in cui non provvederanno ad adeguarsi, saranno passibili di sanzioni. Non da ultimo, il progetto di direttiva potrebbe anche dare un ulteriore impulso a quegli Stati europei che, come la Svizzera e la Germania, stanno già valutando di adottare legislazioni nazionali in materia di due diligence sui diritti umani.