Un’importante sentenza della Corte europea contro l’imitazione ‘estetica’ di un formaggio.
Le denominazioni di origine protette (DOP) costituiscono un particolare regime di tutela dei nomi di prodotti (per ora) agroalimentari affine alla protezione dei marchi d’impresa ma strutturalmente e funzionalmente distinto da quest’ultimo. A livello dell’UE è il regolamento n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (che ha abrogato il regolamento n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari) a costituire il quadro normativo della DOP. Ai sensi del suo articolo 5, per «denominazione di origine» si intende un nome che identifica un prodotto a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati, b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; c) e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.
Il caso tradizione di violazione delle norme poste a presidio di una DOP è la produzione e commercializzazione di un prodotto recante lo stesso nome, sebbene non siano state rispettate le norme generali e quelle specifiche del disciplinare (insieme delle regole che spaziano dalla produzione al confezionamento) di quel particolare prodotto.
In un recente caso trattato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C-490/19, Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier / Société Fromagère du Livradois SAS) e definito con sentenza del 17 dicembre 2020, la soluzione si è discostata dalla verifica esteriore del carattere evocativo della denominazione, valutando più da vicino la percezione globale del consumatore finale ai fini della probabilità della sua induzione in errore.
Il Morbier è un formaggio prodotto nel massiccio del Giura (Francia) che beneficia di protezione dal 22 dicembre 2000. La sua particolarità consiste nella presenza di una striscia nera che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale, suscitando l’impressione di un formaggio ‘imbottito’. Detta striscia (uno strato di carbone nella ricetta originale e ora realizzata con carbone vegetale) è espressamente menzionata nella descrizione del prodotto contenuta nel rispettivo disciplinare. La Société Fromagère du Livradois SAS, che produce formaggio Morbier dal 1979, non è situata nella zona geografica ‘esclusiva’ della denominazione protetta e utilizza pertanto la denominazione «Montboissié du Haut Livradois» per il suo formaggio. Nel 2013, l’associazione per la tutela del formaggio Morbier ha citato in giudizio la Société Fromagère du Livradois dinanzi al Tribunal de Grande Instance (e successivamente dinanzi alla Cour d’appel) di Parigi sulla base del presunto pregiudizio arrecato alla DOP a mezzo di atti di concorrenza sleale e parassitaria della convenuta, consistenti nella riproduzione dell’aspetto del formaggio protetto dalla DOP, in particolare della caratteristica striscia nera.
Il ricorso veniva rigettato nei due gradi in quanto, secondo l’interpretazione tradizionale suesposta, il regime europeo di qualità non mira a tutelare l’aspetto di un prodotto, ma la sua denominazione. La Cour de cassation, investita della questione di interpretazione della disposizione di cui all’articolo 13, paragrafo 1 (in particolare, lettera d), del regolamento abrogato e di quello successivo), ne ha deferito la soluzione alla Corte europea.
Il dubbio è il seguente: la riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP, senza l’utilizzo della denominazione registrata, è idonea a indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto?
La Corte europea osserva che la tutela prevista dai regolamenti citati riguarda la denominazione registrata e non il prodotto che essa ha ad oggetto, non intervenendo dunque nel proibire “l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una siffatta denominazione, per il motivo che esse figurano in tale disciplinare, per realizzare un altro prodotto che non è oggetto della registrazione (punto 36).
Tuttavia, riprendendo l’argomentazione dell’avvocato generale Pitruzzella, essa ammette che le denominazioni protette sono strettamente collegate con il rispettivo prodotto e che non possa pertanto escludersi che “la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione degli articoli 13, paragrafo 1, lettera d)”, rientrando cioè nella dizione di “qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto” (punti 37 e 38).
Ciò si verifica, in particolare, se un elemento dell’aspetto del prodotto protetto costituisca una caratteristica di riferimento e distintiva di tale prodotto.
Eppure, così argomentando, si fa scivolare l’ambito di protezione da una dimensione meramente statica ad un livello più ampio e dinamico. Per effettuare una semplicistica comparazione è come se un marchio d’impresa denominativo o figurativo (bidimensionale) venisse protetto anche come marchio di forma (tridimensionale).
In conclusione sembra che, in virtù di uno sviluppo della giurisprudenza in parte interferente con il dato legislativo, vengano allargate le maglie della nozione di “qualsiasi altra pratica” tramite l’inclusione di profili inerenti all’aspetto (e direi anche alla forma) del prodotto come tale piuttosto che limitarla al mero cd. condizionamento (confezione, imballaggio), con l’effetto di espandere la tutela, per così dire, dalla designation al design del prodotto.
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